L’albergo dei poveri

Ph. Claudia Pajewski

L’albergo dei poveri

“Povertà” è un termine usato da tutti. Si tratta di una nozione universalmente conosciuta e (quasi) quotidianamente utilizzata nel discorso corrente, ma che, a ben pensarci, può suonare estremamente astratta a chi non l’abbia mai sperimentata. Confrontarsi con la povertà è scomodo. Spesso la si guarda dall’alto in basso, si confonde con quella “massa di poveri”, si ingloba nel concetto di “miseria”; più spesso ancora viene taciuta o ignorata, anche quando si trova proprio sotto ai nostri occhi. Ne L’albergo dei poveri, invece, la povertà ci affronta sul palco, con ben sedici attori a condividere la scena. In questa nuova produzione della Fondazione Teatro di Roma Massimo Popolizio, regista e attore dello spettacolo, ha scelto di mettere in scena un’opera scritta da Maksim Gor’kij nel 1902 e nata con il titolo  Bassifondi,  ribattezzata L’Albergo poveri nella celebre messa in scena di Giorgio Strehler del 1947, che apriva il Piccolo Teatro di Milano in via Rovello. Il regista, genovese di nascita e romano di adozione, ha presentato la sua versione sul palcoscenico dell’Argentina dal 9 febbraio al 3 marzo 2024 avvalendosi di una riduzione dello scrittore Emanuele Trevi. Popolizio sceglie di togliere dal termine “povertà” il suo principio economico, per far vedere che più che altro la  “sconfitta” e la “mancanza” di qualcosa.

L‘Albergo dei poveri è un rifugio che, a prima vista, non ha nulla di particolare. Sul palco un letto matrimoniale, dei tavoli, un altro letto (a castello questo) cosparso di cianfrusaglie; una macchina da cucire e delle porte che conducono ad altre stanze nascoste. Sul fondale si intravede una scala che porta verso l’alto, senza che sia possibile immaginare dove conduca. Sarà percorsa in salita, sì, ma soprattutto in discesa; come se ci indicasse che l’albergo intrappola più di quanto accolga.

Ph. Flavia De Muro

Qui vivono insieme i sedici personaggi: un principe, un attore e uno sarto, tutti e tre decaduti, insieme ad altri ladri, alcolisti, derelitti. Non si capisce né quando né come siano finiti qui. In un secondo momento, arriva un pellegrino (interpretato da Popolizio stesso), sbucato dal nulla, fuori dal tempo, le cui parole non sempre sembrano sincere (ma comunque, importa?). Vaga, osserva, prega, con al collo una “conchiglia di Santiago” e in mano un lungo bastone. Osserva e accompagna una donna malata che muore sotto ai nostri occhi; ancora più tragico è comprendere il peso che ella è diventata col tempo per suo marito, il sollievo che a lui porta la sua scomparsa. In scena anche due amanti, il ladro Pepel e Natasha, sorella di Vasilissa, proprietaria dell’albergo la cui invidia e violenza non permetteranno ai due mai di stare insieme. 

Ph. Ettore Umberto Chernetich – immagine guida del progetto “Notizie dai bassifondi”

Ironicamente, una gerarchia si pone anche negli strati sociali più bassi, in questi “bassifondi”. Ci sono alcuni tentativi di avvicinarsi alla speranza, qualche personaggio che porta una forma di umanità. Tra questi va citato il Principe, interpretato da un attore afrodiscendente che si esprime spesso nella propria lingua madre. Fa dei sermoni, giudica? O piuttosto lancia dei messaggi di compassione, di pietà? In ogni caso, è l’incomprensione del linguaggio a rappresentare, simbolicamente, il fallimento dei suoi tentativi. Così come il suicidio dell’Attore è sottile metafora di come l’arte vivente, spesso eccellente strumento di salvazone, possa fallire. Alle forze dell’ordine non resta poi che, nell’ultima scena, saccheggiare questa topaia che sembrava comunque già perduta.

Lo spettacolo ci racconta la storia di persone che hanno dimenticato come amarsi, che non sanno più dimostrare solidarietà, che usano la violenza per esprimere, gridare il proprio bisogno di riconoscimento.

Di fronte a questo, lo spettatore è portato a chiedersi: “come sarebbe potuto accadere altrimenti?”.

Ph. Flavia De Muro

La risposta possiamo forse trovarla tornando alla realtà. Insieme agli allievi e alle allieve di Asinitas, (scuola d’italiano per persone rifugiate e richiedenti asilo a Torpignattara) noi di Dominio Pubblico abbiamo riflettuto sul tema dell’abitare: Abbiamo ragionato su come rendere casa un luogo sconosciuto, come trovarci nuovi punti di riferimento dopo aver lasciato tutto dopo aver vissuto momenti difficili. Allora abbiamo parlato della nostra casa e dei felici ricordi a essa correlati; ma anche della gioia di trovarne una nuova, insieme a nuove conoscenze, famiglie, amiche e amici, colleghe e colleghi. “Lo stare insieme” si costruisce così: creando solidi legami tra le persone, aiutandoci a vicenda, e spingendoci verso l’alto. Il contrasto tra “realtà” e “finzione” è sorprendente, quasi ossimorico. 

Per il suo soggetto, la sua importanza storica e la sua messa in scena molto precisa, l’Albergo dei poveri è una pièce molto impegnativa; ma il suo modo di mostrare le nefandezze della società e dell’essere umano ci costringe a non lasciare che la disperazione superi la barriera della finzione, del palco; ci impegna a mantenere un po’ di luce nella realtà, e ne vale la pena. 

 

Sara Hannana, 29/02/2024

Ph. Flavia De Muro