Chi ha paura di Virginia Woolf? – Due coppie, un gioco al massacro, una notte per consumare la vita
Al Teatro Argentina di Roma è andato in scena questi giorni (dal 31 gennaio al 12 febbraio) lo spettacolo Chi ha paura di Virginia Woolf? per la regia di Antonio Latella, che anche questa volta decide di affidare la propria arte e maestria alla drammaturgia americana, scegliendo di portare in scena il dramma di Edward Albee (debutto nel 1862), tragicommedia che denuncia tutte le ipocrisie e perbenismi della borghesia americana di quegli anni.
Dopo una serata ad alto tasso alcolico, una coppia di mezza età ormai consumata dalla noia e dal rancore, decide di invitare a casa un giovane collega di lui e sua moglie. Complici l’ora tarda e i fumi dell’alcol, le due coppie danno inizio a un drammatico gioco al massacro, dove la distruzione dell’altro finisce per sopperire alle proprie mancanze; un gioco che non porta a nulla se non alla disfatta coniugale e personale, dove i ruoli di carnefici e vittime di scambiano e dove non ci sono né vinti né tantomeno vincitori.
Martha (Sonia Bergamasco) è una donna rabbiosa e affascinante, che grazie ai diversi cambi di voce a tratti animalesca e artificiosa, alterna stati d’animo, dalla viscerale disperazione, all’impassibile sdegno nei confronti del marito George (Vinicio Marchioni), personaggio estremamente vulnerabile e sopra le righe, vittima del proprio ego insoddisfatto e del rifiuto di sua moglie. L’arrivo dei due giovani ospiti Nick e Honey (Ludovico Fededegni e Paola Giannini) diventa così la ghiotta occasione per i coniugi di esorcizzare le proprie inquietudini, la stanza diventa un vero e proprio palcoscenico e lo spettacolo ha finalmente inizio, solo che in questo caso le maschere non vengono indossate, ma cadono rovinosamente.
È nella discesa nelle profondità di questo incubo che sentiamo riecheggiare un motivetto suonato più volte al pianoforte da Martha durante tutta la messinscena: “Who’s Afraid of the big bad Wolf”, in cui però le ultime due parole sono sostituite con il nome della celebre scrittrice. La canzoncina per bambini diventa così quel titolo emblematico, che rievoca la “Virginia Woolf” che c’è in loro, instabile e suicida come il loro matrimonio e che esorcizza la paura di dover affrontare la realtà senza potersi rifugiare nell’illusione e nell’inganno; come per quel figlio inesistente, che nella scena finale George decide di far morire in un grottesco incidente.
L’immaginario di Latella anche questa volta si affida ciecamente alla puntualità e alla chiarezza di un testo ironico e grottesco, che guida didatticamente gli attori nell’uso della parola, in un lavoro dove si alternano momenti in cui prevale l’esasperazione dei singoli caratteri, ad altri in cui queste personalità si fondono in un dialogo serratissimo orchestrato magistralmente.
I quattro personaggi si muovono all’interno di uno spazio altamente surreale occupato da pochi mobili: una poltrona, una lampada di design, qualche gatto di porcellana, un pianoforte e uno stereo. Le scelte più singolari sono sicuramente un armadio che apre sul nulla e i tendaggi di velluto verde che circondano la scena, inscatolandola in una dimensione che a un certo punto dello spettacolo irrompe totalmente nell’onirico.
Alla fine la tensione emotiva che a momenti sembra stia per sfociare nella violenza, implode non riuscendo a liberarsi dalla retorica borghese: i due giovani disfatti e provati lasciano la casa, mentre Martha e George, rimasti soli, aspettano disillusi l’alba.
Dopo l’incontro su Furore di Massimo Popolizio, continua il ciclo di incontri sul Novecento letterario americano organizzato dal Teatro di Roma, in collaborazione con Dominio Pubblico e lo Youth Council dell’Ambasciata degli Stati Uniti in Italia. Il 7 febbraio in Sala Squarzina i ragazzi di DP hanno avuto la possibilità di intervista la compagnia che ha messo in scena Chi ha paura di Virginia Woolf? e di visionare insieme al pubblico un documentario sullo spettacolo girato da Lucio Fiorentino, in collaborazione con il Teatro Stabile dell’Umbria.
Barbara Berardi- Redazione U25