Se al nome Cenerentola vi vengono in mente castelli fiabeschi, scarpe di cristallo e principi alla ricerca della propria amata con tanto di finale fiabesco, allora sì, credo stiate sbagliando del tutto strada perchè Cenerentola Remix diretta da Fabio Cherstich è tutto fuorché questo; è il controcorrente, è il totale turbinio di macchina, quell’esatto e preciso cumulo in perpetuo aumento e diminuzione e questo lo fa già a partire da un elemento in particolare: la Scenografia. Di un minimalismo che punta quasi ad un Popo eclettico, a fare da protagonisti nella nostra scena sono proprio glioggetti di tutti i giorni: un letto, un tavolo da pranzo, una lavatrice, una toilette, diversi appendiabiti, un manichino e tanto altro ancora; nulla di quanto citato verrà nascosto al pubblico per poi essere mostrato al momento necessario, ma tutto sarà disposto in diversi livelli di profondità sul palcoscenico, nella sua ordinata scomposizione, sin da inizio spettacolo. Di tutto questo turbinio scenografico gli attori in scena non saranno solo parte interpretativa, ma proprio quei famosi operatori di Serafino Gubbio tanto decantati dall’autore Luigi Pirandello che, proprio come lo stesso protagonista del Romanzo Novecentesco, diventeranno macchine al servizio di altri elementi già presenti sul palco, corpi facenti parte di un movimento coreografico che traslano e mettono in primo piano, si spostano e avvicinano al proscenio; niente si annulla del tutto ma cresce e muta proprio come un lungo piano sequenza Cinematografico.
Michela Califano – Redazione U25
Cinematografico sembra essere anche il personaggio della matrigna che, da macchietta che rappresenta il male assoluto diventa man mano una perfetta “eroina grigia”. Questa donna acida che si impone di sostituire ad ogni costo la madre della povera “Portacenere” (il soprannome che viene dato a Cenerentola) nella seconda metà dello spettacolo sembra darsi una chance per essere davvero la protagonista della propria storia: andare al ballo per incontrare l’amore e trovare uno spiraglio di felicità. Nell’interpretazione di Giulia Sucapane questo tentativo non sembra essere pilotato dalla smania per il potere, bensì da una genuina tenerezza ritrovata.
E questo ci fa chiedere che cosa succederebbe in uno spin off dedicato alla Matrigna? Cosa ci mostrerebbe una storia che ha come punto di svolta il mancato lieto fine? Probabilmente il pilot comincerebbe con un primo piano su una donna distrutta, delusa dall’aver scoperto il qui pro quo e che il Principe in realtà si è invaghito di Portacenere. Non di lei. Ma qualcuno si è mai invaghito di lei? Lei si è mai innamorata?
Forse no. E forse l’unico modo per rimettersi al centro della propria esistenza è buttare fuori tutto il veleno che l’ha così odiosamente inacidita e darsi una possibilità di fare quello che vuole. Di capire quello che vuole.
E noi ce la vediamo questa Matrigna che esce di casa del tutto smarrita, con la dannata paura di non essere in grado di crearsi una nuova prospettiva nel mondo che le ha insegnato a curarsi solo della propria bellezza; piangere sotto la pioggia (perchè piangere quando c’è il sole drammaticamente non vale) e provare l’angosciante ed elettrizzante brivido di avere la vita nelle proprie mani.
Debora Troiani – Redazione U25