Tradizione o Innovazione? Questo è il problema! Una turbolenta Battaglia sull’Amleto di Giorgio Barberio Corsetti

Articolo di Michela Califano

Mercoledì 15 Dicembre 2021, nell’orario in cui il sole regala i suoi ultimi  timidi squarci di luce alla nostra grande metropoli romana, uno degli scontri forse tanto attesi di questi ultimi mesi ha avuto luogo in quel di Trastevere, presso la sede del Buon Pastore dove i ragazzi e le ragazze di Dominio Pubblico sono soliti riunirsi: Grifondoro contro Serpeverde, Napoli contro Juventus, Panettone contro Pandoro, Friends contro How I Met Your Mother…

Alla sinistra un impavido accusatore, Andrea,  occupa lo spazio della sala riunioni con gran sicurezza, mentre alla destra, un non meno degno di nota sfidante difensore, Federico, è pronto a mettersi in gioco.

Cosa abbiamo ancora? Una ragazza dal cuore tenero ma dalla mano ferma, Michela, col ruolo di arbitrare l’incontro tanto atteso,  e un’imparziale moderatrice, dal nome Debora.

Ma quale sarà il tema  principale del  nostro grande  match? Semplice, è quel  famoso dubbio amletico: Tradizione o innovazione? Questo è il problema!
Gli sfidanti sono pronti a scontrarsi sull’ultima messinscena del regista Giorgio Barberio Corsetti: l’Amleto, andato in scena al Teatro Argentina dal 17 novembre al 9 dicembre, e da noi tutti visto grazie all’abbonamento #nopresent presso il Teatro di Roma – prima del debutto avevamo anche fatto incursione durante le prove!

Questa la disputa. Scegliete da che parte stare e preparatevi: lo scontro comincia!

Iniziamo con una domanda a bruciapelo: è stata davvero necessaria questa nuova versione dell’Amleto?

Andrea: Della celebre tragedia di Shakespeare si è voluta cambiare la cornice, il contesto, per renderli più attuali e contemporanei, e questo lo si evince già a partire dalla scelta dei costumi di scena, fino alla  volontà di spostare la temporalità dell’azione ai giorni nostri: a cosa ha portato tutto questo? A nulla, se non all’annullamento della vera potenza del classico, del perfetto funzionamento di tutti quei piccoli tasselli che rendono la tragedia uno dei capolavori senza tempo della storia del teatro.

Federico: Corsetti è stato coraggiosissimo, perché ha regalato una differente e audace rilettura del classico. È riuscito a lasciare nuove domande e spunti di riflessione lì dove si conoscevano già senso e contenuto; non ha cambiato inutilmente la cornice drammatica, al contrario ha reso contemporaneo e nuovo ciò che nuovo e contemporaneo non è. Qui risiede la grande forza di un testo che ha varcato secoli di storia: poter ogni volta essere visto sotto una chiave diversa, senza esaurire le sue infinite potenzialità espressive.

Dunque ha ancora senso portare in scena i classici oggi?

Federico: Certo che sì. Il vero scopo di un classico è quello di farti prestare attenzione al mondo che ti circonda, di fermare il tempo e farti riflettere, prendendo le distanze dall’incessante flusso della contemporaneità.
È giusto proporre, a distanza di secoli, il testo antico a teatro, ma perché non cambiarne la visione? Perché non dare vita a nuovi stimoli che nutrano con rinnovata profondità il corrispettivo originario? Solo così facendo capiremo, forse, quanto il classico ancora oggi abbia tanti  elementi in più  da regalare rispetto a quanti ne abbia già  illustrati.

Andrea: L’Amleto piace in quanto tradizionale, perché modificare un qualcosa senza la necessità di un vero cambiamento? Si dovrebbe ricreare il nuovo senza mai toccare quello che è stato il nostro  passato. Non dico che ogni rappresentazione di un testo classico debba per forza essere fedele all’originale, ma sicuramente efficace se rapportata allo stesso. C’è una sottile differenza.

E qual è stato il messaggio che Corsetti ha voluto comunicare con questo specifico adattamento: qual’era la sua reale motivazione?

Federico: Il regista voleva mostrare la doppia faccia della rappresentazione. Il mondo di simulacri in cui Amleto si aggira potrebbe benissimo rappresentare quello che viviamo  nella realtà d’oggi attraverso l’uso dei social network. Quel che vediamo è reale felicità o solo apparire? Chi inganna, chi dice il vero? E, nel caso in cui stessimo  parlando del vero, siamo realmente sicuri non sia altro inutile verde scenografico?  L’Amleto di Corsetti vuole fuggire dal mondo di maschere, dal  quel finto verde di apparente serenità, dal folle gioco di specchi in cui non comprendi più il vero, e in cui tutto si mescola talmente tanto da portare alla schizofrenia.

Andrea: Non c’era un messaggio in particolare se non la solita restituzione del famoso dubbio amletico, reso molto evidente dall’uso  che il regista fa della scenografia in alcune parti dello spettacolo, ad esempio con il piano inclinato, che ben rende quell’essere in bilico dei personaggi: tra il to be e il to seem, tra il vero e il non vero,  in equilibrio  sulla sottile e pericolosa linea che porterà tutti a cedere.

In questi giorni abbiamo assistito a due  differenti  tipi di intervento su un testo classico, da una parte l’Amleto di Corsetti e dall’altra  Dolore sotto chiave/ Sik Sik l’artefice magico, due atti unici dalla mano di Eduardo de Filippo, per la regia di Carlo Cecchi: in cosa si distinguono?

Andrea:  Il regista Cecchi con il testo di De Filippo ha eseguito una fedele trasposizione, perché ha portato in scena e fatto rivivere la parola di uno dei più importanti commediografi del Novecento italiano. Corsetti con il suo  adattamento non ha raggiunto lo stesso risultato.

Cecchi è stato meno audace allora, o no?

Andrea:  No, perché egli ha saputo portare in scena il classico nella sua originaria forma: non è  forse questa una  gran dimostrazione di audacia , di forte coraggio? Ha avuto il coraggio di credere nel Classico, nella sua efficacia comunicativa; ha avuto l’ardore di far ancora brillare il passato.

Federico:  Se da una parte il  regista Cecchi, nella piena fedeltà al classico, ha avuto vita facile in quanto ha semplicemente seguito una via già tracciata, viceversa è stato Corsetti il vero audace dei due: egli ha portato sulle scene un aspetto nuovo dell’Amleto, ha dato vita ad una diversa sfumatura delle infinite varianti che il meraviglioso classico  può donare.

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Del duello a cui avete assistito, di questa disputa senza esclusione di colpi, solo un elemento è certo: l’assenza di un vincitore. Il classico è un libro infinito, di cui inesauribili possono essere le forme espressive rispetto all’originale: questa è la meraviglia del fare artistico, questa è la grande potenza di un testo che, nonostante il tempo e i suoi mille corsi e ricorsi storici, non cessa di sfidare il sfidare e interrogare il mondo in cui viviamo.

Lo spettacolo è ormai terminato, qui dalla cabina di arbitraggio è tutto! Un inchino, un grazie al pubblico, alla nostra fantastica mediatrice e ai nostri due sfidanti. Si chiude il sipario: alla prossima avventura!