Articolo di Matteo Polimanti
Mentre ci spostiamo dal muretto di Largo Spartaco verso l’area in cui è stato allestito lo spazio dello spettacolo O + < scritture viziose sull’inarrestabilità del tempo di Collettivo Cinetico, un uomo e un bambino stanno giocando al centro della piazza. L’uomo sta disegnando un pipistrello a terra con un gessetto blu, il bambino gli saltella intorno. L’uomo allora gli passa il gessetto, per completare il disegno.
Nello spazio dello spettacolo siamo attorno a un lungo rettangolo di carta fissato sul pavimento. Andrea Amaducci si muove da un angolo all’altro, cercando di tradurre sulla carta ogni posizione assunta dal corpo della danzatrice Margherita Elliot. I disegni si infittiscono con l’andare avanti della danza. Alcuni hanno linee nervose e attorcigliate e assomigliano a dei pipistrelli. Più tardi, una volta finita l’esibizione, dei bambini stanno giocando su quello stesso rettangolo di carta, insieme ai nuovi pipistrelli creati dalla performance. Saltano da un disegno all’altro imitando la danzatrice.
Gabriele Lattanzi
Sabato 18 settembre, mentre attendiamo che gli ultimi membri della redazione ci raggiungano, i nostri occhi rimangono incantati dal volteggiare vivace di drappi colorati. Sono le gonne degli abiti di giovani donne e bambini intenti a provare una danza in un angolo della piazza. Ci incuriosiscono moltissimo. Nulla può disturbare la forza della loro interconnessione, né il rumore intenso del traffico né le grida degli altri bambini attorno che sfrecciano sui pattini a rotelle. Chiediamo subito informazioni, e scopriamo che non partecipano al Festival. Fanno parte della comunità honduregna del quartiere, e si stanno esercitando per festeggiare l’indomani la festa nazionale dell’Indipendenza dell’Honduras.
Una danza ipnotica, che ci coinvolge e ci invita a battere i piedi e a muovere i fianchi unendoci a loro. Una piccola meraviglia che con grazia e delicatezza pare rompere la dimensione del Festival, per poi invece entrare a farne parte; relazionandosi con lui, condividendo lo stesso spazio, lo stesso tempo, e il medesimo pubblico; creando un dialogo silenzioso con chi intorno li osserva e partecipa rispettosamente all’intensità della loro danza.
Barbara Berardi
A Largo Spartaco bastano occhi e orecchie attente per capire che non ci si trova soltanto in un quartiere della periferia est romana, ma che, al contrario, esso apre ad una molteplicità pressoché infinita di spazi. Solamente in quattro sere ho trovato in quella piazza la Somalia, il Mali, la Persia, Cuba, Chicago. Questo è quel che Attraversamenti Multipli è stato in grado di innescare: una sinergia di mondi, luoghi e culture diversi; legami nuovi e imprevisti; scambi preziosi tanto per la persona quanto per la città.
Ogni sera tornavo a casa con un racconto diverso che mi girava per la testa: la lingua somala di Zakaria colma di parole per me quotidiane come “piatto” o “forchetta”; i -30° gradi di Chicago, città natale di Jack che qua a Roma non sente mai freddo; le dinamiche familiari cubane raccontate da Julio, così diverse dalle mie. Me ne andavo arricchita di diversità e di uguaglianza allo stesso tempo, con la consapevolezza che niente rende più vicini del condividere ciò che ci definisce lontani.
Aurora Leone
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A volte succede che in un luogo insospettabile si instaurino delle misteriose sinergie che danno vita come a dei piccoli miracoli. Dal 17 al 26 settembre, per noi questo luogo è stato il quartiere Quadraro di Roma, a pochi passi dalla fermata della metro Numidio Quadrato, e ciò che ha reso possibile la magia è stata la XI edizione del Festival di Attraversamenti multipli, per la direzione artistica di Alessandra Ferraro e Pako Graziani di Margine Operativo.
Anche quest’anno Dominio Pubblico, in collaborazione con Asinitas Onlus, è entrato a far parte della Redazione Meticcia (Re.M.): abbiamo così dato vita a un gruppo di persone, magistralmente coordinate da Luca Lotano, provenienti da diverse parti del mondo e pronte a narrare i due weekend del Festival in maniera creativa e curiosa, attraverso il Blog di Attraversamenti. Qui ci siamo innanzitutto presentati: Una Redazione Meticcia per Attraversamenti Multipli – ma nei giorni successivi siamo aumentati sempre più.
“Io credo nei miracoli che la gente può fare.
Milioni di chilometri per potersi incontrare.
Per guardarsi negli occhi,
per spiegare un errore,
per un gesto che forse sarà l’unico
che potremo ricordare”.
Queste le parole in cui mi sono casualmente imbattuto alla vigilia del Festival, ascoltando Miracoli di Cristina Donà. L’ho subito considerato un segno, e da quel momento ho deciso di vivere i giorni seguenti con lo stesso spirito della canzone: alla ricerca, insieme ai miei compagni di viaggio, dei piccoli grandi miracoli nascosti a Largo Spartaco, al Garage Zero e nei loro dintorni.
Uno di questi abbiamo avuto la fortuna di viverlo e riviverlo nelle diverse giornate di Attraversamenti Multipli: ogni sera ci siamo riuniti in un angolo del muretto di Largo Spartaco – quest’anno diventato la tela ideale per il coloratissimo artwork RAINBOW un’opera da abitare dell’artista BOL – e abbiamo scoperto qualcosa di più sulla lingua madre di Kara, proveniente dal Mali, di Prity, ragazza bangladese, di Zakaria, dalla Somalia, e di Zara, che viene dall’Iran. Non ci siamo nemmeno privati di preziose riflessioni sulla storia e sullo stato attuale della lingua e del paese in cui viene parlata. Li abbiamo chiamati Sconfinamenti linguistici, riprendendo un format che ci era piaciuto molto anche gli scorsi anni, e che ci ha portato a convincere diversi degli artisti presenti al Festival a cimentarsi in una lettura all’impronta del programma del giorno successivo, ognuno in una lingua diversa: è così che Antonio Rezza, poco prima di andare in scena con la sua Asta al buio, ci ha regalato una breve performance in Bambara – sostenendo polemicamente che in Mali ci mettono troppo tempo a dire le cose (Sconfinamenti linguistici. Antonio Rezza in lingua Bambara) -; che Andrea Cota in arte Mondocane, che ogni sera ci ha intrattenuti con la sua Teleradio Metropoli, ha parlato al microfono della piazza in lingua Bangla (Sconfinamenti linguistici. Mondocane in lingua Bangla);
che il danzatore Yoris Petrillo, anche lui poco prima di andare in scena con Animali – abbiamo scritto anche un articolo dedicato allo spettacolo, frutto della collaborazione fra Yoris, Alessandra e Pako, dal titolo Visioni Animali dell’umano con Margine Operativo – si è riscoperto, mentre ci trovavamo nella perfetta location della Biblioteca Interculturale Cittadini del Mondo, un ottimo lettore di testi somali (Sconfinamenti linguistici. Yoris Petrillo in somalo); o che Claudia Vernier dei Los3Saltos, che tanto ci hanno fatto ballare e sudare nell’ultima serata di Festival, si è divertita a parlare un po’ di farsi (Sconfinamenti linguistici.Claudia Vernier in farsi).
Tutto documentato: abbiamo anche i video!
Secondo miracolo intercettato è stata la costante e inaspettata scoperta di nuove prospettive, nascoste dietro spettacoli che hanno dato vita a lunghe chiacchierate, durante le quali non ci siamo dimenticati di dare sempre maggior rilievo al confronto fra le nostre diverse culture. Abbiamo appreso, in dialogo con il danzatore Carlo Massari, che con la carne non si scherza, e che paragonando i consumi che diverse nazioni al mondo ne fanno è possibile far emergere gli stili di vita di ognuna, anche facendo tornare a galla i vecchi ricordi di chi ha vissuto in questo o quel paese la propria infanzia, come Kara in Mali o Jack negli Stati Uniti (Oltre la mia carne. In dialogo con Carlo Massari). Abbiamo poi teso le orecchie ascoltando che rumore fa un Festival in una piazza di quartiere come Largo Spartaco, sia quando ad attraversarla sono i tantissimi bambini e bambine che sfrecciano sui loro monopattini o biciclette (Happiness! Come guardano i bambini ), sia quando a popolarla è la Teleradio Metropoli di Mondocane, che ci ha stimolati a ragionare sul tipo di radio che più ci piace ascoltare (Teleradio Metropoli. Identità sonore e memorie radiofoniche).
Grazie all’acrobata italo-cileno Mauricio Villarroel in arte Mistral abbiamo poi capito quant’è importante stabilire un rapporto di reciproca e autentica fiducia tra l’artista e il pubblico, al quale Mistral ha interamente affidato la riuscita del proprio spettacolo (Fidati di me. Sulla corda tra artista e pubblico con Mistral).
E ancora, grazie alle prove aperte di flamenco del laboratorio Ostia Cajòn (Ci guardano tutti danzare. Un flamenco a Largo Spartaco) o alla performance tutta da ascoltare di Salvo Lombardo Let my body be, abbiamo imparato a vedere la piazza con occhi nuovi, come uno spazio fluido e multiforme, che viene di volta in volta ridefinito dal flusso dei corpi che lo attraversano. Così come il Festival stesso, in 21 anni, è stato attraversato da un via vai di artisti e spettatori romani e non solo, abitando gli spazi pubblici della Capitale e cercando di coinvolgere intere comunità locali, anche grazie alla collaborazione con artisti molto attivi sul territorio come Militant A degli Assalti Frontali, esibitosi insieme a Alessandro Pieravanti sabato 18 nel concerto La parola è la mia arma (Alla luce delle parole di Militant A. La comunità che si riscopre). Alla Biblioteca Interculturale, abbiamo inoltre assistito alla presentazione del libro Attraversamenti multipli 2001 – 2020 Un viaggio tra gli orizzonti mobili delle arti performative contemporanee (Attraversamenti multipli 2001 – 2020: ora è tutto scritto!).
Cercando di raccontare entrambe le settimane anche con mezzi che andassero oltre la parola scritta, abbiamo impugnato una semplice matita e provato ad abbozzare un disegno che rappresentasse la nostra idea di Festival (Diario illustrato di un Festival).
Domenica 26 settembre, ultima serata, attraversiamo i quartieri del Quadraro, di Certosa e Centocelle, grazie alla passeggiata esplorativa Mamma Roma, gentrify this!, organizzata da Valerio Sirna + Arianna Lodeserto / DOM. Mentre il sole tramonta, ci inoltriamo con silenziosa curiosità nel Parco Archeologico di Centocelle, ne conosciamo la storia, i lati oscuri, ne immaginiamo la rinascita.
Attraversare un luogo pubblico equivale a trasformarlo, provando a ridefinirne i limiti, le logiche spaziali, e soprattutto rinnovandone la funzione: quella di affermarsi ogni volta crocevia di innumerevoli storie, confronti ed esperienze collettive fra persone diverse ma partecipi.
È proprio vero: niente rende più vicini del condividere ciò che ci definisce lontani.
Foto della galleria: © Carolina Farina