Articolo di Clara Lolletti
«Me piace ‘sta città che è stretta piccola e ‘nfinita» recita una poesia di Er Pinto, poeta anonimo del Trullo, le cui frasi frequentemente si incontrano tatuate sui muri di Roma.
Roma è senz’altro una città complessa. Chi la abita quotidianamente, chi la frequenta anche solo per brevi periodi, chi la vive da studente fuorisede o da lavoratore pendolare, se ne rende conto: il traffico, le distanze che i mezzi di trasporto faticano a ridimensionare, i tre milioni di abitanti, i 1200 km2 di estensione, il centro e le periferie. È stretta e piccola per un giovane sognatore, ma anche infinita e mal collegata. E anche chi pensa di conoscerla a memoria troverà sempre un angolino che non ha mai raggiunto, una periferia.
Fuori dal Grande Raccordo Anulare, l’anello entro cui si inscrive l’area urbana di Roma, sul palco dell’Arena esterna del Teatro di Tor Bella Monaca, con le parole di Er Pinto lette da Ariele Vincenti e accompagnate dalle note di Emilio Stella, cantautore che racconta una Roma sconosciuta ai più e nascosta, si chiude la terza giornata di IPER – Festival delle Periferie. Il Festival è promosso da RIF Museo delle periferie e curato dal direttore artistico Giorgio De Finis, antropologo e artista, sostenuto da una grande squadra organizzativa al suo fianco.
Dal 21 al 23 maggio, il punto di vista sulla città si è infatti capovolto e il Teatro di Tor Bella Monaca è diventato il centro di un dibattito ricco e articolato sulle periferie romane, volto a scardinare l’immaginario di degrado, abbandono, spaccio e criminalità attraverso le quali vengono spesso ritratte.
Abbiamo preso parte al Festival andando alla scoperta di una Roma che non conoscevamo o che non abbiamo mai realmente conosciuto.
Il fitto palinsesto di eventi è stato aperto sia ad una ristretta platea in presenza – per via della situazione emergenziale e della ridotta capienza dei teatri – sia a un pubblico più distante, che ha potuto fruire delle dirette streaming sui canali del festival. La rassegna ha preso il via venerdì mattina con il videomessaggio della Sindaca di Roma Virginia Raggi e con gli interventi dei Presidenti dei quindici Municipi della Capitale, insieme ad altre figure istituzionali, concludendosi domenica con musica dal vivo.
Il RIF Museo delle periferie di cui De Finis è curatore, è un museo che ha una peculiarità: non avere pareti – non ancora perlomeno. Per questa occasione, il Teatro di Tor Bella Monaca ha ospitato il Museo, il Festival e metaforicamente la Periferia tutta, venendo attraversato da artisti, urbanisti, antropologi, sociologi, giornalisti, politici e tante altre figure che operano, lavorano o conoscono la periferia e facendone il fulcro del proprio interesse. Ma IPER è anche uscito dal teatro. Molti sono stati infatti i contributi esterni e le azioni performative che contemporaneamente sono esplose in altri quartieri della città: About Kinespheres and the possibility of something else di Greg Jager in collaborazione con Carrozzerie n.o.t., presentata in anteprima a Madrid a inizio maggio all’interno della programmazione We Dance, You Mean, che si è svolta venerdì pomeriggio in Largo Ferruccio Mengaroni a Tor Bella Monaca. Una ricerca sul movimento, sull’occupazione degli spazi, sull’interazione dei corpi e sulle geometrie che questi compongono all’interno di un contesto specifico, di cui siamo stati partecipanti attivi.
Tra i contributi esterni, anche Immagini di città, progetto promosso dal Teatro di Roma in collaborazione con Dominio Pubblico, che ci ha visti e ci vede ancora coinvolti in passeggiate urbane dedicate all’esplorazione di vari quartieri (da Primavalle al Tufello, passando per il Quarticciolo e tutta la riva ostiense) e della loro toponomastica, per la riscrittura di una ‘’mappa ideale’’ della Capitale.
Il leitmotiv delle tre giornate di Festival è stato ‘’portare la periferia al centro e non il centro alla periferia’’.
Ma che si intende poi esattamente con periferia? E rispetto a quale centro?
La periferia è ciò che sta lontano da. Dalla ‘’zona interna’’ di una città, ad esempio. Ma può anche essere un luogo mentale, uno stato generazionale, un modo di vivere. Il termine ‘’periferia’’ ha finito per designare tutto ciò su cui non si pone l’attenzione. Si può vivere al centro di una capitale, non riuscire a socializzare con i condomini della propria palazzina, e sentirsi comunque periferico, lontano dal pensare comune.
È proprio questo stato di cose che allora bisogna combattere. È necessario trovare strategie per porre l’accento su ciò che – forse anche perché talvolta fa comodo – viene lasciato un po’ nell’oscurità. La politica in primis, poi la cultura e l’arte, hanno la missione di rendere accessibili a tutti anche territori inaccessibili, spostando la messa a fuoco ordinaria e dando vita a nuove centralità.
Tra le forme d’arte che ultimamente stanno facendo luce sulle zone più in ombra della città, sicuramente possiamo annoverare l’arte urbana. Durante le tre giornate di Festival si è affrontato questo tema con artisti come Maupal, Greg Jager, Lucamaleonte, Andreco. Tor Bella Monaca stessa sta diventando un museo a cielo aperto – forse la bellezza (oltre che la qualità ovviamente) è la vera esca per attirare sguardi esterni e richiamare l’attenzione.
Il Festival delle periferie è stato un contenitore ed un connettore. Nelle tre giornate di talk, incontri, presentazioni, azioni urbane, musica, passeggiate, ha cercato di «dare voce a territori senza voce (ma con tante cose da dire)» portando le persone a vivere e soprattutto ad osservare la città in maniera più consapevole. Ha ricordato inoltre che la periferia romana non è solo (o non più) quella raccontata da Pasolini, o quella ironicamente ritratta da Emanuela Fanelli all’interno del programma Una pezza di Lundini, fatta di bambini che girano «a piedi scarzi» tra disagio e stereotipi.
In conclusione, risuonano le parole di Giorgio De Finis pronunciate in occasione del talk Dateci un museo!: «Forse un mondo dove tutti si sentono un po’ più periferia ed un po’ meno centro potrebbe essere un mondo migliore». Forse è proprio così, ogni tanto servirebbe cambiare punto di vista.