IPER Festival: alla riscoperta delle periferie di Roma. Intervista a Giorgio de Finis e Mattia Tebourski

Articolo di Matteo Polimanti

«È inutile stabilire se Zenobia sia da classificare tra le città felici o tra quelle infelici. Non è in queste due specie che ha senso dividere le città, ma in altre due: quelle che continuano attraverso gli anni e le mutazioni a dare la loro forma ai desideri e quelle in cui i desideri o riescono a cancellare la città o ne sono cancellati.»

Le esplorazioni urbane di Dominio Pubblico proseguono imperterrite, per scoprire sempre più nuovi e diversi angoli segreti della città di Roma, che siamo convinti appartenere, pur con le sue mille contraddizioni, alla prima delle due categorie descritte dal buon Italo Calvino ne Le città invisibili

Questa volta ci occuperemo di scovare le tantissime città invisibili che Roma nasconde dentro di sé: stiamo parlando delle sue periferie.
Da venerdì 21 a domenica 23 maggio si terrà, alla sua prima edizione, il Festival delle Periferie (IPER Festival), che con eventi di vario genere, fra dibattiti, talk, conferenze e performance artistiche, cercherà di mettere in relazione tra di loro le diverse periferie capitoline, cogliendone le somiglianze e le differenze, per ragionare sull’identità di ognuno di questi luoghi troppo spesso dimenticati o mal raccontati dall’esterno.

In questi tre giorni avremo la golosa opportunità di partecipare a diversi degli eventi in programma, buona parte dei quali in presenza al Teatro di Tor Bella Monaca, per assumere ancora una volta un ruolo attivo che ci veda protagonisti della vita culturale romana.
Dopo aver conosciuto alcune zone periferiche della città, grazie a progetti come MA®T – Millennials Art Work o Immagini di città, quest’ultimo promosso dal Teatro di Roma e realizzato in collaborazione con il Festival, siamo pronti a proseguire il nostro viaggio, alla (ri)scoperta di una città che non si stanca mai di rivelarsi sotto nuove diverse vesti.

Vista l’occasione, abbiamo intervistato Giorgio De Finis, antropologo, artista e direttore artistico del Festival, e Mattia Tebourski, suo collaboratore nonché ricercatore all’Università di Roma Tre.

Mattia, come hai conosciuto Giorgio?


Mattia Tebourski: Ho avuto l’occasione la scorsa estate, durante un ciclo di talk al Parco Appio curato da Perìfera, l’associazione che ho fondato insieme a Ginevra Pirucci e che si occupa di ricerca e divulgazione territoriale, con uno sguardo particolare alle periferie sia urbane che rurali. Ogni settimana al parco, tutti i martedì dalle 20:00 alle 22:00, ci siamo occupati di un quartiere diverso, coinvolgendo diverse realtà impegnate in questa o quell’altra periferia, oltre a professori e ricercatori particolarmente competenti riguardo le tematiche via via esaminate.
Quando è arrivato il turno di Tor Bella Monaca, abbiamo avuto modo di conoscere Giorgio e il suo Museo delle Periferie. Ci siamo subito piaciuti molto. Lui ha continuato a venire ai nostri altri appuntamenti settimanali e così ci siamo tenuti in contatto, finché ci ha proposto di partecipare a un suo progetto: la realizzazione dell’ Atlante delle periferie, un percorso di ricerca sul territorio e automappatura iniziato lo scorso settembre, dove invitiamo tutte le realtà che operano con, per e nelle periferie, cercando di coinvolgere sempre più persone per allargare il nostro sguardo e la nostra riflessione. Abbiamo incontrato ad esempio  l’Ecomuseo Casilino, il Museo di Tor Marancia, e anche Dominio Pubblico con il suo progetto MA®T! Intorno al prossimo dicembre il progetto, ancora a quella che possiamo definire la sua prima fase, porterà alla pubblicazione del primo volume dell’Atlante che stiamo immaginando e costruendo tutti insieme.

Giorgio, come e quando nasce il RIF Museo delle Periferie, di cui sei il direttore?

Giorgio de Finis: Il Museo nasce nell’ambito dei lavori al Macro Asilo – Museo d’Arte Contemporanea di Roma, pensato da me e Alessandro Gisonda, assessore alla cultura del Municipio VI, come una sorta di appendice del museo situata in periferia. Abbiamo inizialmente organizzato cinque incontri coinvolgendo studiosi, ricercatori, urbanisti per riflettere tutti insieme sulle possibilità di un simile progetto.
Stiamo parlando di una realtà che quasi non esiste: non solo perché non abbiamo ancora una sede fissa, ma perché almeno ad oggi di musei in periferia in giro per il mondo ancora non ce ne sono, dunque la nostra costituisce una grande eccezione. Del resto il suo stesso nome contiene in sé una contraddizione in termini: il museo è notoriamente il luogo dell’esposizione del bello, la periferia invece è spesso pensata come un luogo dove il degrado regna sovrano.
Con l’avvento della pandemia ho temuto l’arrestarsi del progetto, e invece paradossalmente non abbiamo incontrato grandi difficoltà nel portarlo avanti, dato che la nostra attività non era ancora legata ad un luogo fisico e abbiamo così potuto proseguire online

Quanto è importante oggi parlare di un ecosistema così complesso e composito come quello delle periferie romane attraverso un festival ad esse dedicato? 

M.T: Quando nominiamo le periferie parliamo di spazi urbani che in questo momento vanno ridefiniti. La parola stessa, “periferia”, appare oggi svuotata di senso e va in qualche modo risignificata. Questo è possibile solo mettendo in contatto fra di loro le diverse periferie di un contesto immenso come quello romano, facendo sì che si conoscano e che gli abitanti dell’una e dell’altra si confrontino tra di loro, operando loro stessi un’autonarrazione della propria realtà. Solo così la periferia può affermarsi come vero e proprio polo di produzione culturale, quale oggi è, a differenza del centro, che sta sempre più diventando il luogo della museificazione.

G.F: Questo sul nuovo centro e la nuova periferia è un dibattito molto complesso sul quale occorre ancora confrontarsi e fare chiarezza: da una parte possiamo dire che oggi tutto il mondo è centro in quanto interconnesso, globalizzato, dall’altra ognuno di noi può sentirsi periferico in quanto precario, marginalizzato. Viviamo tutti in una condizione centrale e periferica allo stesso tempo. Dire che il concetto di periferia è stato superato mi sembra un’esagerazione, è vero semmai che tutta la città è periferia, ma rimane il fatto che non si tratta di una questione da sciogliere in poche battute. Noi ci riflettiamo ogni settimana, e la discussione si rinnova ogni volta.

E a chi vive in periferia tutto ciò arriva?

M.T: Credo che le persone siano sempre più consapevoli di quel che sono o stanno diventando le periferie, di come siano a tutti gli effetti delle entità estremamente complesse e di come dunque necessitino di attenzioni particolari. Il merito non è soltanto delle amministrazioni, relativamente a tutti i progetti di riqualificazione, valorizzazione e superamento del degrado, ma anche delle realtà attive sul territorio, che contribuiscono a portare avanti una narrazione efficace e rispettosa dello stesso. Ecco, con il festival abbiamo intenzione di andare a riscoprire tutte queste narrazioni e portarle in superficie. Attraverso il dialogo, il confronto e la discussione, quindi, andare a ridefinire uno spazio che già si sta auto-ridefinendo da solo. Dobbiamo semplicemente accompagnare questo processo.

G.F: Ci tengo poi a dire che tanto le associazioni che andremo a coinvolgere quanto quelli che saranno i nostri spettatori avranno un ruolo attivo nei tre giorni del Festival. Anche per questo abbiamo allestito un piccolo Speaker Corner virtuale, dove chi vorrà avrà la possibilità di mandare un videomessaggio in cui potrà liberamente dire quel che vorrà, dalla segnalazione di un qualsiasi problema al municipio alla condivisione di un ricordo personale legato ad un luogo in particolare della propria periferia. È chiaro poi che ogni evento richiamerà un proprio pubblico. Sono fin da adesso ben consapevole che il tavolo di discussione che aprirà il Festival il venerdì mattina, e che coinvolgerà tutte le figure istituzionali che attualmente governano questa città, porterà dissensi e malumori, ma credo che come istituzione museale che si occupa delle periferie fosse nostro dovere dare vita a un momento di confronto serio, ragionato, e soprattutto partecipato a riguardo.

A proposito del Festival, quali sono le principali collaborazioni che avete voluto ricercare e quali principali artisti o interlocutori  avete contattato?

M.T: Non c’è stato il desiderio di far partecipare qualcuno rispetto a qualcun’altro, anzi il nostro ragionamento è stato inverso: far partecipare tutti. Vogliamo coinvolgere tutti coloro che, in un modo o nell’altro, intendano dare il proprio contributo  alla nostra riflessione. Daremo a tutti la possibilità di esprimersi, e dal prezioso contributo di ognuno dipenderà l’esito del Festival. Non ci siamo affatto posti degli obiettivi specifici a priori, non è quel che vogliamo.
Tant’è vero che siamo arrivati all’individuazione dei contenuti che verranno affrontati durante il Festival confrontandoci in questi ultimi mesi con tutti i coinvolti. Abbiamo avuto almeno due, tre riunioni di scambio con tutte le realtà. Questo è il valore aggiunto che ci portiamo dietro.

Paradossalmente la modalità da remoto, che caratterizzerà gran parte della programmazione, rischia quasi di rendere il festival più partecipativo, perlomeno dal punto di vista delle collaborazioni e delle realtà da coinvolgere.

M.T: Sì è vero. Penso che la pandemia da questo punto di vista abbia costituito uno spartiacque, un punto di non ritorno. Ormai l’interazione da remoto risulta essere, dal punto di vista lavorativo e organizzativo, uno strumento sul quale vale la pena puntare. In un’organizzazione così impegnativa come quella in cui ci siamo imbattuti, si è sicuramente rivelato di grande aiuto. Altrimenti lo spostarsi da una parte all’altra di Roma per fare una riunione, per vedere qualcun altro, per prendersi un caffè, per andare a pranzo fuori, avrebbe comportato un dispendio di energie e di risorse ben maggiori. Ecco perché anche il Festival seguirà questa logica: ci saranno più di duecento eventi in tre giorni. Senza il supporto digitale sarebbe impossibile garantire a tutti una fruizione completa di tutte e tre le giornate, senza che qualcuno rischi di perdersi qualcosa.

G.F: Prima di questa situazione emergenziale con cui ormai abbiamo imparato a fare i conti, tendevo a rifuggire dalla partecipazione da remoto ricercando sempre la presenza. Oggi invece, come diceva Mattia, nessun’attività culturale può più privarsi di uno streaming, non tanto per questioni di riduzione del pubblico in presenza, ma più perché si tratta di uno strumento con delle proprie specificità, che fino ad ora abbiamo sfruttato ben poco. Da venerdì a domenica molti saranno i collegamenti con altre parti d’Italia e non solo. Sembra quasi stupido dire che abbiamo scoperto questa cosa solo ora, dato che esisteva già da tempo, ma in un certo senso è così. Il Festival sotto questo aspetto sarà un grande esperimento, perché abbiamo insistito  molto con questa nuova (anzi riscoperta) modalità, per cui agli eventi live dal Teatro di Tor Bella Monaca si alterneranno contributi da diverse aree geografiche, alcuni dei quali preregistrati per via del fuso orario… Sono convinto che ci divertiremo!