“Signore e signori, oggi al Teatro Valle vanno in scena… i troopers di Dominio Pubblico!”
12 dicembre 2020. Inizia così la nostra nuova missione per il Teatro di Roma. Un arduo compito quello assegnatoci: entrare al Teatro Valle, uno dei teatri storicamente più significativi della Capitale, per documentare il processo creativo degli artisti impegnati per il ciclo di radiodrammi Scienza e fantascienza dal Valle.
In questa prima incursione abbiamo importunato tre attrici di fama nazionale e non solo, quali Silvia Gallerano, Paola Rota e Simonetta Solder, che hanno anche loro condiviso con la propria troupe di lavoro l’emozione di entrare al Valle.
Ancora adesso io, Flaminia, Luca e Martina ricordiamo i minuti precedenti l’ingresso a teatro in maniera confusa: euforia, gioia, ma anche timore e soggezione, insomma ci siamo fatti travolgere da una marea di sensazioni contrastanti.
Poi, una volta entrati, di fronte a noi la meraviglia… Incantati da quel luogo magico ci lasciamo trasportare dallo sguardo, quasi dimenticandoci del nostro compito, e incominciamo a fare un sacco di foto.
L’incontro con le attrici ci riporta alla realtà, cerchiamo subito di fare la migliore impressione possibile, ma in men che non si dica, ecco che i ruoli si ribaltano e ci troviamo attorno a un tavolo al centro della grande platea, con le artiste che curiose ci chiedono di raccontare i nostri percorsi formativi e le nostre ambizioni future.
L’intervista tanto preparata dalla sottoscritta, pensando a come essere il più professionale possibile, si trasforma in un’amichevole chiacchierata durata quasi un’ora. A quel punto le domande sono fluite spontanee: siamo voluti partire dall’oggetto del loro lavoro al Valle, e cioè la registrazione del radiodramma Come tutte le ragazze libere, tratto dall’omonimo testo della drammaturga contemporanea Tanja Slivar, ed ispirato ad un fatto di cronaca del 2014 avvenuto in Bosnia, per cui sette giovani tredicenni sono tornate incinte da una gita scolastica…
Paola Rota: Abbiamo conosciuto Tanja durante un laboratorio sul nuovo femminismo promosso da Fabula Mundi, progetto europeo a sostegno della drammaturgia contemporanea. In questa occasione abbiamo avuto modo di relazionarci con giovani autrici di differenti nazionalità, che appartenendo ad una generazione diversa dalla nostra ci hanno regalato una nuova prospettiva sulla questione del patriarcato e del femminismo. La domanda che si è posta l’autrice quando ha deciso di scrivere “Come tutte le ragazze libere” era cosa avesse scatenato la curiosità e l’attenzione dei media, così è andata a cercare cosa fosse successo senza riuscire a scoprire molto, se non che queste ragazzine erano state condannate come gruppo, e che non era stata presa in considerazione la voce di ognuna di loro. Lo scopo del testo allora è proprio questo: sette monologhi che riportano le singole esperienze personali delle protagoniste di questa triste vicenda, attraverso un linguaggio fra sogno e realtà, che è tipico di quell’età.
Silvia Gallerano: Non si tratta della prima volta in cui ci troviamo a lavorare insieme, e questo perché c’è un interesse e un pensiero femminista che condividiamo, interrogandoci su che cosa sia, che cosa era, chi ne scriveva… cosa era quando avevo 18 anni e avevo il mio collettivo, rispetto a quello che è oggi e cosa ne scrivono le giovani generazioni. È una specie di caccia al tesoro quella che perseguiamo, perché testi di e con sole donne in scena non è facile trovarne. Andiamo alla ricerca di testi con ruoli sì femminili, ma anche innovativi per il nostro genere, che non siano i soliti: la puttana, la suora, la moglie, la madre, la sorella…
Simonetta Solder: La scelta di questo testo è nata da una scoperta inaspettata. Spesso le cose più importanti nascono da semplici incontri, che però lasciano un segno… Questo testo riporta un’umanità che parla a tutti, e me ne sono resa conto fin dalla prima lettura. In questo momento sto lavorando ad un altro progetto che presenta anche questa fra le sue tante tematiche, e cioè l’influenza e il peso che ha il sistema patriarcale nella società contemporanea. Si tratta di un altro radiodramma sempre per il ciclo “Scienza e fantascienza dal Valle”, curato dalla regista Manuela Cherubini.
Cecilia Parazzoli: Rispetto alla modalità del radiodramma, quale pubblico sperate di raggiungere, e quali reazioni vorreste suscitare in chi vi ascolta?
Simonetta: Secondo me questo lavoro è veramente per tutti… le protagoniste sono ragazze di 13 anni, perciò è un lavoro fruibile dai 13 anni in su. Non ha età.
Paola: A me piacerebbe che questo lavoro arrivasse soprattutto alla vostra generazione. La paura è che la modalità in cui lo stiamo proponendo, e cioè con un nostro punto di vista, venga travisata dalle generazioni più giovani: c’è il rischio cioè che il nostro possa sembrare un racconto su giovani ragazze fatto da donne molto più mature e quindi troppo distanti dalla loro esperienza di vita. Vorremmo invece che si percepisse che stiamo raccontando un femminile che si espande dai 13 ai 90 anni. Ci piacerebbe che voi lo percepiste e ci ragionaste.
Silvia: Il lavoro che ha fatto Paola come regista di questo testo mira peraltro ad essere funzionale al mezzo utilizzato. Se avessimo dovuto metterlo in scena in presenza ovviamente avremmo avuto necessità diverse, come quella di lavorare sul corpo. In questa situazione abbiamo invece lavorato sulla fusione e sull’armonia tra voci di età differenti, ognuna con colori, timbri, intensità particolari. Il tempo nel testo funziona come una fisarmonica che si comprime e ci fa ritornare a quando avevamo 18 anni. Durante l’ascolto ad un certo punto non si riuscirà più a distinguere le voci; questo ovviamente è un risultato che possiamo ottenere solo con il mezzo radiofonico.
Cecilia Parazzoli: Silvia, al Valle sei stata una delle protagoniste del periodo dell’occupazione, protrattosi dal 2011 al 2014, contesto in cui è stato presentato anche il tuo spettacolo La Merda. Cosa ci puoi raccontare di quel periodo? Immagina che tutta la nostra generazione non ha vissuto quel momento.
Silvia: È stato uno dei pochi avvenimenti culturali interessanti degli ultimi vent’anni per quanto riguarda la città di Roma. Il teatro era vivo, attivo giorno e notte ed è stato così per tre anni. Persone che normalmente non andavano a teatro venivano anche senza sapere cosa succedeva, era diventato un luogo attraversabile, non più riservato esclusivamente ad un’élite. Attraversabilità, partecipazione … parole che hanno definito l’occupazione e che sono rimaste anche quando lo spazio è stato sgomberato. Forse il lascito dell’occupazione sono state proprio queste parole, che poi però sono state svuotate: oggi molti teatri le utilizzano senza però riempirle di senso proprio. In quegli anni invece erano effettivamente piene di significato. È stata un’esperienza uccisa velocemente e della quale è stata conservata soltanto una superficie patinata.
Cecilia Parazzoli: E tornare dopo tutto questo tempo che effetto ti ha fatto? A noi sembra tutto così bello, anche se è un peccato non poter andare nei palchetti per via dell’inagibilità.
Silvia: Devo dire che ero molto agitata prima di arrivare. Ho fatto dei sogni tremendi la notte prima. Ho provato una grande rabbia quando sono entrata perché ho avuto la sensazione che fosse tutto identico a come l’avevo lasciato l’ultima volta. L’idea che siano passati sei anni e che tutto sia rimasto invariato rispetto a come l’avevamo lasciato mi ha molto indisposta. Ovviamente sono felice di essere potuta rientrare in un luogo che ha significato così tanto per me. È come rivedere un vecchio amico, però c’è una grande delusione e una grande rabbia per come è finita.
Cecilia Parazzoli: Cos’è adesso che non sta funzionando qua a Roma?
Silvia: Non funziona l’idea delle municipalità, che ancora legano alla parola occupazione il degrado di un luogo. Tutti gli spazi che sono stati sgomberati diventano dei buchi neri, posti abbandonati in cui non avviene mai una riqualificazione degna di questo nome. Tutti gli artisti romani oggi non esisterebbero se non ci fossero state le occupazioni. Per circa vent’anni attraversare gli spazi pubblici ufficiali è stato impossibile per i giovani artisti. Solo gli spazi occupati hanno accolto il pensiero e le follie teatrali delle giovani generazioni. Siamo rimasti per anni nell’underground teatrale romano riuscendo ad avviare la nostra carriera solo in altre città, sia italiane che europee, per poi tornare nella capitale in un momento successivo.
Cecilia Parazzoli: Vorremmo concludere chiedendovi come avete affrontato la pandemia. A livello creativo che impatto ha avuto sui vostri progetti?
Simonetta: Ha costretto tutti a diventare molto più rigorosi, innanzitutto con sé stessi. A me inoltre ha aiutato a capire meglio quello che mi piace o non mi piace, anche semplicemente nella lettura di un testo che sento più mio rispetto ad un altro. Ora, se decidi di impiegare le tue energie in progetti che comunque non puoi portare in scena perché i teatri sono chiusi, lo fai solo se riescono a parlarti davvero, a comunicarti qualcosa di concreto ed autentico.
Silvia: È stata la prima volta nella mia vita che non sono potuta andare in scena. Prima avevamo tutti familiarità con l’idea di dover andare in scena sempre e comunque, tutto a un tratto le cose sono cambiate completamente e a me si è aperto un mondo… Ho avuto più tempo a mia disposizione per riflettere e progettare la realizzazione di opere significative e stimolanti.
Paola: Siamo qua perché abbiamo presentato un progetto che ci siamo divertite ad immaginare in un momento di crisi e incertezza. Non vogliamo fare il teatro ripreso, ma cercare di capire come la pratica teatrale si possa replicare in modo differente e con mezzi diversi, rimettendoci in discussione, con coraggio e curiosità.
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Parlare con Silvia, Paola e Simonetta è stato davvero molto bello e ci ha dato modo di riflettere in maniera approfondita su una tematica oggi così urgente. Ora non ci resta che prendere ognuno le proprie cuffie e metterci all’ascolto! Noi abbiamo già fatto qualche prova generale…
Cecilia Parazzoli
Foto © Luca Guido
Come tutte le ragazze libere
Regia: Paola Rota
un progetto di: Paola Rota, Simonetta Solder e Silvia Gallerano
sound designer: Angelo Elle
testo: “Come tutte le ragazze libere” di Tanja Sljivar
traduzione: Manuela Orazi
interpreti: Silvia Gallerano, Caterina Guzzanti, Liliana Massari, Irene Petris, Simonetta Solder, Sandra Toffolatti
interviste: Priscilla Abate, Palma Biadene, Martina Cellini, Lara Ceresoli, Giacomo Marchesi, Nora Ribon, Arianna Vaccari
si ringrazia Silvia Bencivelli
produzione esecutiva: PAV nell’ambito di “Fabulamundi Playwriting Europe – Beyond borders”
Podcast scientifico: Matteo Cerri
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