Sarà mai la tanto anelata maggioranza “compatta” a saper urlare i bisogni del popolo? La democrazia deve passare per l’opinione di tutti o deve formare l’opinione di tutti? In che misura un popolo ha bisogno di nuove idee, in che misura ha bisogno di proteggere la cara e vecchia fede? Ad un popolo interessa fare il giusto o avere le tasche piene? È davvero possibile rappresentare un popolo attraverso la voce di pochi, seppur eletti dai molti? Di quanta libertà e di che tipo di libertà è investito un popolo democratico? È davvero la temperanza della diplomazia che protegge la stabilità di un popolo?
Il ritmo del testo voluto da Ibsen e disegnato in scena da Massimo Popolizio – reduce dalla vittoria ai Premi Ubu – è organizzato intorno a pause tanto lunghe quanto una domanda. Le azzardate ma efficaci scelte registiche creano una distonia tra i pensieri del pubblico che sa di affascinante ricerca etica sul concetto di essere popolo. Scelte quelle di Popolizio che creano e enfatizzano un flusso di energia a forte rimando centripeto tra il pubblico e gli attori. L’azione è tutta al centro, è tutta tra il pubblico, non davanti, non solo.
È con passo irriverente che gli attori si tengono uno con l’altro, nella storia di Ibsen ma oltre a quella, con il pubblico e ben oltre quello. Un sapiente utilizzo quello che opera il regista sulla competente musicale che tiene senza possibilità di divisione, tutti uniti, tutti su un piano, tutti insieme, attori, storia e pubblico. Eccolo il pubblico sul palco con il dottor Stockmann che se lo difende dalle ire dell’ignoranza assassina di un popolo dissetato dalle sicurezze monotone, reazionarie offerte dal sindaco – interpretato da Maria Paiato – ad onor della tranquillità e stabilità dei cittadini tutti.
Tutta la contemporaneità del testo vibra grazie ai cortocircuiti che si generano nello spettatore, che prima sta dalla parte di un fratello e poi dell’altro, prima è cullato dalla presunzione di essere colto e rivoluzionario, contrario alle scelte beffarde della sanità pubblica del sindaco, poi, però, ecco che viene preso in giro, che sapientemente il regista sposta il piano, ecco che diventa primo sostenitore del sindaco, che addita a “nemico del popolo” il tanto sostenuto dottore che voleva solo raccontare “la verità” al popolo, metterlo a conoscenza e salvarlo dal possibile pericolo.
Il pubblico ora è sfacciatamente posizionato dalla parte di tutti quei popoli che per prudenza, per necessità di essere rappresentati ma non mettendoci la faccia, si lasciano proteggere dalle decisioni di un sindaco a caso, uno dei tanti. Con ritmo sagace, satirico, ironico, che tiene sulle spine la coscienza etica dello spettatore, il pubblico è chiamato a rispondere ai paradossi più crudi della democrazia. Il popolo ha davvero sempre saputo riconoscere “la verità”? È sempre stato solo vittima delle scelte insolenti dei più potenti? Può davvero alleggerirsi le spalle sbarazzandosi della responsabilità e addossandola tutta agli uomini di potere? O anche il popolo ha una responsabilità nell’ossequio delle scelte imbarazzanti di alcuni dei potenti?
Uno spettacolo che mette a nudo il sentimento di essere popolo, dentro e fuori le scelte che in maniera individuale ma concertata, da soli, ma con tutti, creano la storia di un popolo che inciampa tra il desiderio di non spostarsi dalle rassicuranti verità conosciute e la necessità di conoscere il futuro.
Essere popolo è un traguardo da conquistarsi.
Irene Umili
Un nemico del popolo
di Henrik Ibsen
traduzione Luigi Squarzina
regia Massimo Popolizio
con Massimo Popolizio e Maria Paiato
e con Tommaso Cardarelli, Francesca Ciocchetti,
Martin Chishimba, Maria Laila Fernandez
Paolo Musio, Michele Nani, Francesco Bolo Rossini
e Flavio Francucci/ Luca Mascolo, Cosimo Frascella
Duilio Paciello, Francesco Santagada, Gabriele Zecchiaroli
Sala Squarzina, 26 marzo 2019
Massimo Popolizio e gli attori della compagnia incontrano il pubblico
coordina Sergio Lo Gatto
in collaborazione con Dominio Pubblico, con l’intervento del curatore del progetto Tiziano Panici
Riprese video © Valeria D’Addabbo
Montaggio © Francesca Larizza
Foto di scena © Giuseppe Di Stefano