Kilowatt Festival – L’energia della scena contemporanea – diversi perché umani
#DAY1
‘’Perché lo spettacolo dal vivo deve essere un’assemblea democratica aperta, visto che riguarda la nostra essenza di cittadini. Le estetiche sono funzionali allo scopo, non sono lo scopo. Un Festival, così come la visione di un singolo spettacolo, non sono una parentesi tra un impegno e l’altro della nostra vita: un Festival e uno spettacolo fanno parte della vita.” lo staff di Kilowatt Festival
Il kilowatt identifica l’unità della potenza elettrica e rappresenta la quantità di energia nel tempo. Difficile scegliere un nome più adatto per contenere tutto l’estremo carico di forza che queste giornate irradiano. Dal 2003 i ragazzi di Kilowatt Festival si propongono (e ci riescono un sacco bene) di creare un centro di residenza per la creatività contemporanea, per le compagnie emergenti. Un luogo che sia centro di produzione e sostegno, un luogo di unione, di scambio e condivisione, un luogo in cui ognuno è invitato ad udire, vedere, comprendere e, sensibilmente, sentire. Semplicemente, stare. Nel 2007 nasce la Selezione Visionari, che è ormai cifra distintiva del Festival e testimonia il sempre più fervente tentativo di includere nella selezione degli artisti anche la sensibilità della gente del luogo: i ‘’Visionari’’, un gruppo di attivissimi ‘’non addetti ai lavori’’, che integra il proprio occhio (e perché no? Il proprio cuore) alla visione d’insieme della direzione artistica, partecipando in maniera alacre alla scelta di parte della programmazione.
Meravigliose premesse, insomma.
Già dai primi racconti esterni si può respirare un’intensità contagiante.
Le valigie (pesantissime, nel mio disgraziato caso) sono pronte! Tanta benzina, tanto autan e tanta pizza rossa, il tutto condito da un’insaziabile voglia di rivalsa. Questi, gli ingredienti perfetti per un viaggio alla volta di nuovi orizzonti comunicativi e artistici. Un road trip, devo dire, diverso: niente musica, niente cellulari alla mano, il verde attorno, in ogni metro del nostro cammino, enormi cittadinanze di girasoli allegri, qualche vacca qua e là e, soprattutto, un irrefrenabile flusso di parole, sogni, ambizioni, racconti dal passato, ritorni dal futuro, qualche speranza, a tratti un po’ di malinconia
Ed eccoci! La Toscana ci abbraccia, ci invita e ci stringe, materna e rassicurante, nel suo ventre fatto di fascini ancestrali e luminescenti apparizioni, attimi che portano in sé il ricordo di qualcosa di antico, di lontano, qualcosa che ci rimanda al simbolo della casa, dell’accoglienza. San Sepolcro diventa, per il Festival, la città ospitale: questo piccolo borgo così palpitante, antico e dolce, è la perfetta cornice utopica in cui collocare la manifestazione di questa passione artistica, di questa unione di presenze ed intenti.
Spesso accade di sentirsi spaesati quando si entra in un’atmosfera altra ed isolata rispetto alla frenesia del quotidiano, al via vai convulso delle strade della grande città. È proprio questo spaesamento, questa assolvenza di ansie e pressioni, che ha caratterizzato le primissime ore di presenza nel borgo. Ci si guarda attorno, ancora increduli, basiti di fronte al tanto lavoro e alla dedizione di queste solide realtà, plastiche e liquide nella loro ammirevole solidità d’intenti.
Il nostro primo approccio concreto con la programmazione artistica del Festival avviene sotto le ali di Tamara e Michele, che insieme formano la compagnia Bartolini/Baronio.
“9 lune’’: 9 case, 9 canzoni, 9 persone.
Ma le tappe di questo spettacolo/viaggio itinerante non sono nove, bensì solo una. O meglio, una al giorno.
45 minuti per ogni casa, una casa al giorno, ogni casa una vita da raccontare. Solamente l’ultimo giorno di Festival è possibile ripercorrere il viaggio per intero. Il tema dell’allunaggio è il punto comune da cui partire per perdersi nei meandri delle esperienze di vita di ognuno dei nove protagonisti.
Il primo giorno gli autori-attori, Tamara e Michele, ci introducono a casa di Barbara.
<<Casa mia sono io. Io sono la somma dei miei viaggi per il mondo. Casa mia quindi è qui, ma è anche il mondo intero.>>
E si vede: la personalità poliedrica e intraprendente di Barbara traspare da ogni mobile, ogni quadro, ogni suppellettile. Una casa in legno, un legno che emana calore, e un’atmosfera contaminata da culture diverse: dalle sue origini contadine abruzzesi agli oggetti risalenti a viaggi in Africa, in India, per il mondo. Ci viene fatta strada in una dimora che trasuda della personalità creativa di chi l’ha vissuta e la vive. Arriviamo in un salone con un lunghissimo tavolo, l’emblema della convivialità.
<<Che belle cene ci farei qui!>> Dirò poi a Barbara, in una chiacchiera post-spettacolo. <<Fidati che non sono mancate!>>
Dopo aver assistito a un breve filmato degli archivi Rai e dopo averci offerto una rinfrescante tisana al finocchio, Tamara, accompagnata da registrazioni audio e da Michele con la sua chitarra, ci “permette di entrare” (proprio come Barbara permise a loro) in questa vita, alla presenza della sua stessa proprietaria, la quale segue con occhi lucidi il racconto, seduta sul divano.
Alla fine del viaggio, dopo essere “allunati”, Barbara mi racconta del suo collettivo artistico, della sua giovinezza, dicendomi frasi che sua madre rivolse a lei, di una somiglianza disarmante con quelle che mio padre rivolge a me ad oggi.
45 minuti di condivisione, contatto, intimità.
Il tramonto ci incanta, l’aria si rinfresca e ci guida verso un’altra tappa del nostro itinerario: “La notte è dei fantasmi”, Teatro della Misericordia. Eleonora Pippo (regista Premio Scintille 2010), da una sceneggiatura originale del fumettista Ratigher, ci introduce nel tumulto di contraddizioni e fragilità di un’età difficile: la preadolescenza. Attraverso un karaoke che si rende drammaturgia e una regia multimediale che si avvicina a tratti al codice di linguaggio cinematografico, ripercorriamo la storia di un festino di tredicenni, interamente ripreso da telecamere nascoste e seguito da sempre crescenti spettatori telematici. I dialoghi, interpretati da ragazzi di San Sepolcro, sono letti in forma di karaoke. Affrontando il tema più che attuale della spettacolarizzazione del privato sui social, si spezza quest’atmosfera realistica con la cupa e straniante apparizione dei fantasmi, per ritornare però e sempre al reale.
Uno spettacolo che parla delle forme di comunicazione contemporanee, ma anche di quella delicata età che precede l’adolescenza, caratterizzata da dinamiche che trascendono ogni contingenza temporale.
È tardi, il cielo è scuro e le stelle sono molte e ben distinte. Il piccolo borgo appare ancor più silenzioso e protetto. Questo remoto e ormai da tutti noi quasi dimenticato senso di quiete quasi ci distacca dalle annose problematiche della società corrosa e crudele, una società in cui le gocce di umanità sembrano sempre di più prendere confidenza con l’oblio. Ed è qui, in questa suggestiva scena all’aperto nel Chiostro di Santa Chiara, che in modo quasi ossimorico si mostra a noi, risvegliandoci e facendoci riflettere, l’ultimo lavoro di questa prima giornata: “e-stin-ziò-ne” di C&C Company e Ortika. Azione fisica, danza, parola, proiezioni e canto lirico; diverse cifre comunicative che convogliano in un unico linguaggio scenico pregno di una vernice di cruda ironia e, a tratti, leggerezza. I performer mescolano e si mescolano ai loro stessi codici, rendendosi poliedrici strumenti di comunicazione. Uno scenario apocalittico, i resti di un centro commerciale in pieno Black Friday; la fiumana del progresso umano è un fantasma di sottofondo, eco e scia di una conscia autodistruzione. In questa disastrosa cornice convivono speranza, abbandono, miscredenza e soprattutto la comune, forse talvolta velata o implicita, ricerca di una nuova via, di una luce. Con un finale chimera di salvezza e presa di coscienza, ci lasciamo il giorno alle spalle per dedicare alla notte le nostre gioie e le nostre riflessioni.
Grazie.
Le foto sono di Elisa Nocentini e Luca del Pia – Staff Kilowatt Festival