Riflessioni su Un Nemico del Popolo, regia di M. Popolizio

Un Nemico del Popolo: istruzioni per l’uso

a cura di Alessandra Cimino

con il contributo di Mariaenrica Recchia


Teatro Argentina, Teatro Valle e Sala Squarzina fanno da cornice al nostro viaggio dal 1882 a oggi, per entrare nell’immaginario di Henrik Ibsen attraverso il linguaggio di Massimo Popolizio.

“Un Nemico del Popolo” racconta la storia di una cittadina il cui presente è spaccato in due dalla scoperta del Dottor Stockman: l’inquinamento delle terme. Cosa fare se l’unica fonte di ricchezza economica diventa minaccia alla salute della popolazione? Attorno a questo interrogativo si innesta lo scontro uno contro tutti della minoranza contro la maggioranza; il testo diventa così un pretesto per indagare nelle pieghe dell’animo umano, nelle sue contraddizioni e nei suoi inganni, mostrandoci una storia sempre uguale a se stessa, dalla quale non riusciamo – ancora – a trarre beneficio. Assistiamo a uno spettacolo che ha bisogno di essere vissuto da una poltrona scomoda, che ci richiama alla riflessione critica su cosa voglia dire “io” come minoranza oggi.

Il Teatro di Roma ci offre l’opportunità di “Esserci”, “Dasein” di heideggeriana memoria, con tre tappe in direzione del debutto: il Teatro Argentina a svelare il lavoro in anteprima; il Teatro Valle con Sergio Lo Gatto e i ragazzi della Scuola di Teatro e Perfezionamento Professionale del Teatro di Roma a fornire i necessari strumenti di lettura del testo; la Sala Squarzina come agorà, punto di raccordo tra regista, compagnia, addetti ai lavori e pubblico.

Noi c’eravamo: eccoci dunque pronti a ripercorrere insieme questo fantastico viaggio!

 

Prima tappa

Anteprima Un Nemico del Popolo, lunedì 18 marzo, Teatro Argentina

 

Geometria scenica perfetta. Massimo Popolizio dirige una macchina teatrale che è orologio sinfonico, scansione metrica di uno spazio-tempo musicato dal corpus attoriale, testo incarnato. Ibsen redivivo, sconfitto lo spettro del classico, reso nostro contemporaneo. Il palcoscenico come scatola cinese che guida l’occhio del pubblico verso la verità. Il pubblico come spettatore passivo reso maggioranza inconsapevole. Al fool il ruolo di traghettatore da un quadro all’altro, mentre la scena crolla e le maschere cadono, mentre “tutto cambia affinché nulla cambi”. Ogni personaggio si svela nell’ombra della sua rotondità; solo Stockman sembra rimanere trasparente, come il vetro del suo studio, sin dall’inizio vulnerabile, infine crepato.

Maria Paiato è gigantesca nel suo invadere la scena, fa perdere ogni sua traccia sulla strada di un personaggio che riflette le mille contraddizioni del Potere, tessendo la rete della compassione ingannevole. Come nell’ultima cena, il tavolo a cui siedono le voci del popolo racconta una storia già scritta, una sconfitta a priori; il tradimento è avvenuto, ora sta alla maggioranza scegliere: Gesù o Barabba. La paura della verità vince sul suo detentore, attore divulgatore in minoranza, relegandolo al ruolo di fool, incompreso e isolato da tutti. Così, nella luce senza ombre esce, lui che non ha bisogno di quinte o sipari.

 

Seconda tappa

Assemblea pubblica per Un Nemico del Popolo, martedì 19 marzo, Teatro Valle

Incontro collettivo di approfondimento curato da Antonietta Bello, Sergio Lo Gatto, Alice Palazzi

Letture a cura di Diego Valentino Venditti

con gli attori della Scuola di Teatro e Perfezionamento Professionale del Teatro di Roma

partecipanti ai percorsi “Per un attore divulgatore” e “Arrembaggio!”

 

Compito dell’attore è farsi divulgatore, essere parlante tra il volgo che rende pubblico e quindi comunitario il sapere. Eccoci dunque al Teatro Valle, pronti a imbarcarci in un viaggio attraverso le arti e la storia. Obiettivo finale: immaginare Henrik Ibsen attraverso Massimo Popolizio.

 

SIAMO alla fine del 1400, Hieronymus Bosch dipinge “Il giardino delle delizie terrestri”, tripudio di colori, inno alla natura, in cui donne e uomini nudi abitano uno spazio condiviso con animali e piante: la Creazione è avvenuta.

SIAMO nel 2018, lo statunitense William Nordhaus viene insignito del Premio Nobel per l’Economia, per aver integrato i cambiamenti climatici e le innovazioni tecnologiche nelle analisi macroeconomiche a lungo termine, interrogandosi su come favorire una crescita economica durevole e sostenibile.

SIAMO nel 2019, l’Ilva continua a intossicare e uccidere Taranto e i suoi abitanti, uomini donne bambini animali piante.

 

Citazioni dal passato

Étienne de la Boétie (1530-1563) in “Discorso della servitù volontaria”: «È il popolo che si assoggetta, che si taglia la gola e, potendo scegliere fra l’essere servo e l’essere libero, lascia la libertà e prende il giogo; che acconsente al suo male, o piuttosto lo persegue».

Thomas Jefferson (1743-1826), terzo Presidente degli Stati Uniti: «Non conosco alcun depositario certo dei poteri ultimi della società che non sia il popolo stesso, e se noi non lo crediamo sufficientemente illuminato da esercitare questo controllo con salutare giudizio, il rimedio non consiste nel rimuovere l’esercizio di quel potere, ma nell’informare meglio il suo giudizio».

Alexis de Toqueville (1805-1859), uno dei padri della sociologia, in “Democrazia in America” teorizza per primo la tirannide della maggioranza: «Cos’è, infatti, una maggioranza presa collettivamente, se non un individuo che ha opinioni e più spesso interessi contrari a quelli di un altro individuo che si chiama minoranza? Ora, se ammettete che un uomo, investito di un potere assoluto, può abusarne contro i suoi avversari, perché non ammettete la stessa cosa per una maggioranza? Gli uomini, riunendosi, hanno forse cambiato carattere? Diventando più forti, sono forse diventati più pazienti di fronte agli ostacoli? […] L’onnipotenza è in sé cosa cattiva e pericolosa […] si chiami essa popolo o Re, democrazia o aristocrazia, sia che lo si eserciti in una monarchia o in una repubblica, io affermo che là è il germe della tirannide».

George Orwell (1903-1950), nel suo “1984”, scrive: «Finché non diverranno coscienti della loro forza, non si ribelleranno e, finché non si ribelleranno, non diverranno coscienti della loro forza».

 

Riflessioni sul presente

L’uso della maschera ha segnato la storia dell’uomo nei secoli. Da strumento divinatorio nei riti sacri a parte del corredo funerario presso gli antichi egizi a strumento teatrale nelle tragedie greche. Oggi, camminando per le strade delle nostre città, guardando la televisione, osservando il mondo che ci circonda, possiamo notare un nuovo utilizzo della maschera: quello igienico. Oggi non abbiamo più bisogno di invocare le divinità, non dobbiamo più ricordare i nostri defunti oltre la morte, nessun teatro ci inganna più. Oggi dobbiamo sopravvivere, proteggerci, rimandare la morte a un altro giorno.

 

Terza tappa

Incontro con il Popolo, martedì 26 marzo, Sala Squarzina

con Massimo Popolizio e gli attori della compagnia

coordina Sergio Lo Gatto

in collaborazione con Dominio Pubblico, con l’intervento del curatore del progetto Tiziano Panici

 

Il nostro viaggio si sta per concludere… Nella Sala Squarzina, circondati da storia e arte, diventiamo investigatori dei segreti del palcoscenico, di fronte a noi la compagnia e il regista pronti a rispondere alle nostre curiosità. Perché essere spettatori vuol dire, in qualche modo, diventare spett-attori, interrogarsi sempre su ciò che si sta vivendo, aprirsi al dialogo di cui l’arte si fa promotrice. Quindi, di questo confronto, lasciamo una traccia, affinché possiamo anche noi assolvere alla funzione di divulgatori: voce del popolo al popolo.

 

Sergio Lo Gatto                Come mai questo testo oggi, nel 2019, e in Italia?

 

Massimo Popolizio         Perché no? Un bel titolo che offre agli attori un buono spazio all’interno di un testo da rappresentare. In più c’erano diverse difficoltà, tra cui non rendere scontato o retorico il messaggio per il pubblico, ma renderlo acido e umoristico. La prima cosa che ho detto agli attori: “Non ci diamo una coltellata nella pancia!”. L’intenzione era di fare uno spettacolo importante, avendo la certezza di essere attaccati, per un Teatro Nazionale, senza ingannare il pubblico che lo guarda. Chi non fa solo il regista si pone davanti a un testo in maniera pratica, il risultato non è il frutto di scelte intellettuali. Ad esempio, la scelta della Paiato è stata fatta perché c’era bisogno di un bravo attore.

 

Tiziano Panici                  Come ha accettato la sfida del personaggio?

 

Maria Paiato                    Ho sempre voluto interpretare un personaggio maschile, non ho fatto domande, ho accettato subito. Ho chiesto poi il motivo della scelta ricaduta su di me e la risposta è stata: “Il personaggio risulta più chiaro tirato fuori dal genere, non uomo non donna: incarnato nel potere, una figura grigia”. Sul personaggio ho lavorato in maniera pratica, cercando sempre di far avvenire le cose.

 

Dal pubblico                     Come è nata l’idea del personaggio “traghettatore”?

Massimo Popolizio         L’idea originale era renderlo l’unico sopravvissuto della città, quindi tutto lo spettacolo stato un lungo flashback, ma ho capito che questo utilizzo avrebbe reso lo spettacolo troppo autoriale. Sostanzialmente l’ho pensato così per il cambio atto, l’opera è composta da cinque atti e avevo bisogno di un traghettatore tra l’uno e l’altro, una sorta di Caronte o Virgilio. Nel quarto atto c’era un personaggio ubriaco anche nella versione di Miller, di cui ho ripreso le caratteristiche.

 

Dal pubblico                     Quali altri problemi pone il testo? Che cambiamenti ci sono stati e la compagnia è stata di aiuto?

Massimo Popolizio         È un testo di attori, la regia è una piattaforma per far uscire fuori gli attori. Una delle difficoltà è stata la verbosità del testo, i personaggi parlano molto e oggi è molto difficile da portare in scena. A volte abbiamo trasformato una battuta unica molto lunga in più battute, suddividendola tra più personaggi. Alcuni di questi diventano una voce unica e per fare questo deve esserci intesa tra gli attori nello sposare un’interpretazione comune. Nello spettacolo non c’è nulla di naturalistico, tutto è costruito in modo da creare delle figure che sfiorano il grottesco. Tutto questo è stato possibile grazie a loro, perché non si può fare teatro di interpretazione senza bravi attori.

Attori compagnia           Il regista aveva le idee chiare, ci portava capire cosa facesse il personaggio dandoci dei bersagli da colpire per ogni battuta. Poteva essere difficile averlo in scena ma si è rivelato un’ulteriore prova, sia per noi che per lui, nel conoscere varie tipologie umane. Grazie al teatro, l’idea pratica del regista viene a contatto con il pubblico.