L’imprevisto.
Sangue, linfa della vita, spesso teatralmente declinato in inciampo, errore, necessario alla realizzazione dell’opera ultima.
Cari mamma e papà sono giorni ormai che avete perso le mie tracce, vi ricordate ancora di me?
Qui la comunicazione è difficile ché come entri in un qualsivoglia locale Sansepolcro ti ruba il campo, un pezzo di cuore e tu felicemente resti in un’oasi d’arte, giustificato dall’inadeguatezza del progresso di fronte alla potenza del mattone che ad oggi ancora sa isolarti.
Cerchiamo di non perdere il filo del discorso prima ancora di crearlo.
Oggi mi interessa il concetto di imprevisto.
Mettiamola così, quando vivi una condizione di totale immersione in un festival, tutto è amplificato, la realtà stenta ad esistere, contatti con la nostra quotidianità abbandonati da tempo ormai, conosci persone ed è subito due anni che le frequenti, insomma una strana bolla atemporale che porta inevitabilmente il cuore e il cervello in apertura.
Però l’imprevisto può accadere. Ci si può trovare di fronte a qualcosa che non ci aspettiamo, che non ci piace, che non ci fa star bene.
Qui potrebbe giungere una valanga di domande che mi son posto dopo questa sorprendente illuminazione, ma che per misericordia vi risparmierò.
Alcune però dovete porvele con me, o almeno leggetele, quantomeno arrivate in fondo all’articolo e vedete se almeno una ve ne resta.
Se così non è la nostra relazione finisce qui, ma ne approfitto per ricordarvi che alle 21.00 inizia X-Factor.
Abbiamo visto lavori meravigliosi, altri meno, ed altri che hanno creato dubbi.
Si perché in questo ambiente siamo andati oltre il “bello, brutto, schifo, niente” da tempo. Ci si pone domande.
Perché arriviamo a dire, usciti dalla sala che uno spettacolo non ci piace?
Cosa accade, quali sono i meccanismi che si scatenano nel mutuo scambio dell’avvenimento teatrale che ci portano ad una conclusione negativa.
In fondo è come una diagnosi. Se c’è una malattia devono esserci anche dei sintomi. Non limitiamoci a dire “lo stiamo perdendo”, voglio dire Dr. House non ci ha insegnato nulla? Non possiamo fermarci sempre al Lupus.
Perché arriviamo a dire che un lavoro non funziona? Che non ci piace?
Può essere davvero un problema un attore che non recita bene la parte?
Eppure quante volte parliamo con persone quasi incapaci a comunicare, ci troviamo benissimo e comprendiamo perfettamente l’essenza di ciò che vogliono dirci?
È un problema di contenuti? Di testo?
Quante volte accade di dover interpretare, ma sentiamo chiara in pancia l’essenza del tutto?
Le luci? Le musiche?
Forse quel che abbiamo mangiato a pranzo ancora incide sul nostro umore?
L’assenza, la presenza d’amore, un litigio inatteso, una fattura da pagare, una multa (maledetta sia Sarsina), l’eccessiva lunghezza, il rumore in sala?
Reputiamo il tema banale o al contrario ci tocca così tanto nel vivo che lo rifiutiamo come bambini capricciosi?
Semplicemente non capiamo e pur di nascondere la mancanza di sensibilità e comprensione aggrediamo?
Cosa?
La mancanza di coerenza tra detto e non detto? Tra pensato e restituito?
Come vedete potrei continuare per ore con questo fiume, anzi vi invito ad aggiungere pensieri sicuramente più intelligenti dei miei.
Perché è necessario capire cosa accade.
Perché diciamo si e diciamo no. Ogni cosa che proferiamo è per comunicare qualcosa. Limitarsi ad un inutile giudizio non serve a nulla.
Oggi sono rimasto, terribilmente nel semi-serio, ma prometto non accadrà più, lo giuro sul mio primo cane e sappiate che non ho mai amato nessuno come lui, quindi tarate la promessa.
Domani riprenderò a raccontarvi allegramente il festival, anzi già parto da ora, perché fra tutte quelle domande che hanno affollato la mia mente e che ho appena condiviso con voi, un’altra s’è imposta ed ha letteralmente spodestato le altre, liberando spazio e tempo, conquistando tutto il conquistabile.
E’ proprio lì nella locandina.
Esattamente, perché in queste zone, multate le pecore?
Sono animali così carini, con gli occhioni che mammamiaattentoanonguardarlotroppochepoipiangi, si può sapere quale essere senza cuore si metterebbe mai a multare una pecora?
La immagino così:
Forza dell’ordine XY: “lei è in divieto di sosta lo sa?”
Pecora 1: “Beh..”
XY: “E sa cosa devo fare io ora?”
P: “Beh”
XY: “Cosa ci faceva qui a quest’ora del mattino, a quest’ora escono solo bestie e matti”
P: “Beh”
XY: “Guardi mi dispiace, ma ecco qua, se la paga entro cinque giorni è ridotta, basta che va al comando, sa dov’è il comando?
P: “Beeeeeh”
XY: “Ah quindi c’è già stata, una recidiva abbiamo qua, beh, mi sento meno in colpa ora, ma, cosa, salve, lei chi è? e voi? Cosa fate? No vi prego no, li fa male, per favore, ma da dove uscite tutte quante? Comandante abbiamo un codice lana, escono dai fottuti alberi capitano! Vi prego capitano, era solo una multa, io non sapevo, mandate rinforzi! Correte vi prego! Dite a mia moglie che l’amavo, ma ditelo anche a Magda, possibilmente non in presenza di mia moglie. Addio capita….”
P: “Beh”
Questa è una campagna di sensibilizzazione contro il maltrattamento delle pecore: non maltrattare una pecora che poi il gregge maltratta te.
Perché multiamo una pecora, forse non abbiamo coraggio di affrontare il gregge?
Rambaldo Melandri Fantoni
DAL 13 AL 21 LUGLIO 2018
KILOWATT FESTIVAL – SANSEPOLCRO (Arezzo)
L’energia della scena contemporanea
DIVERSI PERCHÉ UMANI