Virgilio Sieni, Piero della Francesca e Caterina

Quando ho saputo che la performance di Virgilio Sieni, a cui avremmo partecipato come coro, si sarebbe svolta al museo civico davanti all’affresco di Piero della Francesca vero e proprio, mi sono emozionata. Come me penso anche tutti gli altri appassionati di storia dell’arte presenti; Virgilio per primo, il quale aveva costruito l’intero lavoro su quell’immagine. I danzatori (persone comuni che di professione non fanno questo) che, inoltre, conoscevano anche l’opera di Sieni erano letteralmente su di giri e manifestavano la loro estasi in modo conforme alla pacatezza con cui la performance era stata costruita. Somigliava più a un rito che a uno spettacolo e c’era una sensazione di sacralità generale. Il laboratorio di teatro sociale aveva dato vita a una piccola, effimera, bellissima religione.

Tuttavia non è della scopa in culo di chi ci credeva con tutta l’anima di cui voglio scrivere, né delle psicopippe che ruotano intorno alla poetica di Sieni, di cui hanno già ampiamente parlato i relatori della conferenza, a ragione: filosofi, storici, giornalisti e anche architetti.
Ciò che più di tutto mi ha riempito di meraviglia è stata Caterina.
L’ho vista scendere dalla macchina di sua mamma ancora in corsa nel parcheggio della palestra dove si svolgevano le prove. Zainetto in spalla, ha corso verso l’ingresso con decisione; non avevo idea di chi fosse e che facesse parte del laboratorio: ho solo visto una bambina di undici anni che si affrettava a un appuntamento con l’aria di chi partecipa a qualcosa di importante.
Caterina ha una chioma scompigliata di capelli ricci e castani, una corporazione magra e un portamento scoordinato. Mentre gli altri tengono lo sguardo assorto verso l’orizzonte, imitando il Cristo risorto di Piero della Francesca, lei si guarda in giro come sperduta. Quando è il momento dell’azione delle bambine, mentre le altre tengono disciplinatamente la schiena dritta e i piedi a punta, lei sta gobba e si gratta la gamba. Durante la prova generale Caterina chiede a Margherita, l’assistente di Sieni, di andare in bagno per fare la pipì.
Sembra una bambina della Luna di cui, per qualche strano motivo, proiettano l’ologramma in mezzo ai danzatori della Resurrezione. È la nota stonata di una melodia talmente armoniosa da fare venire la nausea; ma è anche meno stonata di ciò che all’apparenza può sembrare: canta in un coro e, quando le altre bambine si intimidiscono e non cantano, lei dà loro la nota. Non ha mai fatto danza e non le piace molto, ma durante le pause gioca sia con i grandi, sia con le piccole. Quando i danzatori, compatti come un organismo, avanzano nello spazio, c’è sempre qualcuno che deve recuperare Caterina dal bordo per nasconderla al centro, perché sta passeggiando assorta in chissà quali pensieri.
La signora anziana che canta nel coro con noi, quella che ha sempre qualcosa da dire con l’aria di chi la sa lunga e comprende a fondo il senso generale e intimo della faccenda, ha sentenziato una volta che la presenza astratta di Caterina cozzava decisamente con tutto il resto che invece funzionava a meraviglia. Non ha usato esattamente queste parole, ma il senso era questo. Lo ha detto con una nota di fastidio nella voce perché, probabilmente, fa parte di quelle persone che vorrebbero vedere il mondo anche con la visione periferica, ma hanno i paraocchi. Non lo sapeva lei che Caterina aveva un ruolo preciso e importante lì dentro e che in qualche modo ne era consapevole. Non l’ha notato che Caterina, durante l’ultima replica, ha sorriso a qualcuno tra il pubblico -probabilmente un parente o un amico- con aria complice e fiera. Proprio non si immaginava che Caterina, alle prove, ci veniva perché faceva parte del gruppo e voleva bene a tutti. E scommetto anche che Caterina, più di tutti, a distanza di qualche anno, quando sarà più grande e il seme innestato da Virgilio, Margherita e Paolo avrà dato vita a una piantina, si ritroverà davanti a quell’affresco e lo sentirà vivere.

Chi Azz

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