Sono i primi giorni di questo 2021 quando, appena passata la befana, veniamo catapultati in una nuova avventura al Teatro Valle di Roma. Già il viaggio per arrivare al Valle, per una ragazza di periferia come me, è un’avventura. Quindi dopo un autobus, il trenino del Lido e due metro, arrivo con netto anticipo e mi consolo con una bella focaccia con mortadella, comprata lì vicino al teatro. “Vita da romani”. Seduta sul marciapiede, in attesa dei miei colleghi troopers di Dominio Pubblico per l’ingresso a teatro, vedo passare una ragazza che mi saluta. La riconosco subito: è stata per molti anni nella produzione del Teatro dei Filodrammatici di Milano, dove ho studiato e debuttato come attrice. E adesso che casualità, è qui a Roma e nonostante la mascherina mi ha riconosciuta! Ricambio il saluto. Solo poco dopo mi rendo conto che no, non mi ha riconosciuta, mi sta solo salutando sapendo che sono di Dominio e che a breve entrerò al Valle. Vabbè, meglio di niente.
Finalmente mi raggiungono i miei due compagni di avventura Luca e Cecilia ed entriamo a scaldare il freddo teatro. Per quanto possa fare freddo a Roma, state tranquilli, che al Valle farà sempre più freddo. Però che bello entrare all’interno di un edificio così prezioso e ricco di storia.
Ci danno subito la possibilità di entrare in platea e sbirciare il lavoro che si sta svolgendo. Ci dicono di non fare rumore, che gli attori stanno provando. Noi ci sediamo timidi e rispettosi del silenzio sulle sedie più rumorose di tutto il teatro… Dettagli.
Siamo lì ad assistere alle prove di Nella repubblica felicità, radiodramma tratto dall’omonimo testo del drammaturgo Martin Crimp, diretto da Giacomo Bisordi. Ecco il cast in ordine alfabetico: Valentina Bartolo, Paolo Briguglia, Caterina Carpio, Anna Chiara Colombo, Gianluigi Fogacci, Cristina Mugnaini, e con Ludovica Modugno e Carlo Reali. Il regista sta dando indicazioni tecniche agli attori, che di fronte al microfono dovranno riprodurre la stessa storia, le stesse emozioni e dinamiche che portarono in scena al Teatro Belli nel 2016.
Osserviamo con attenzione e curiosità il lavoro della compagnia, che poco dopo concluderà le registrazioni e ci regalerà una preziosa intervista.
Posiziono l’ampia tribuna in semicerchio – questa volta sono davvero tanti da intervistare – e con Luca alle riprese e Cecilia come photo reporter, ecco che parto con le domande.
Chiara Alonzo: Siamo qui con Giacomo Bisordi e il cast quasi al completo, assenti solo Valentina Bartolo, Paolo Briguglia e Cristina Mugnaini. La prima domanda vuole fare luce sulle difficoltà e le differenze nel mettere in piedi un lavoro che nasce sul palcoscenico e che ora state trasponendo in un prodotto radiofonico. Cosa cambia? E quale è rispetto a questo il tuo rapporto nella direzione degli attori?
Giacomo Bisordi: Io posso rispondere come regista ma poi penso che passerò la palla agli attori, che sapranno sicuramente dirvi meglio. La scelta di “Nella repubblica della felicità” per questo ciclo di radiodrammi nasce dal fatto che lo spettacolo in sé permette di fare una trasposizione radiofonica. In un certo senso mi sento di dire che il linguaggio radiofonico dona una personalità maggiore a questo spettacolo piuttosto che la scena, poiché la drammaturgia stessa di Crimp è un musical sotto mentite spoglie. Al momento, quello che stiamo facendo è registrare l’interpretazione degli attori. Quello che verrà fatto in seguito dalla post produzione sarà costruire tutta una rete musicale e sonora che il testo prevede. Lo stesso Crimp esigeva questa forte componente musicale nel suo lavoro.
Forse però la vera sfida sta nel fatto che fare questo spettacolo è come farne al minimo sette, perché ci sono più sezioni stilistiche all’interno della trama. La prima parte è una commedia realistica, una sorta di Čechov molto acido. La seconda parte formata da cinque quadri è un mix di linguaggi e stili teatrali differenti, mentre la terza richiama un po’ le prime drammaturgie pinteriane. Quindi come ogni sezione, sul palcoscenico, deve essere ben caratterizzata e lavorata, stessa cosa vale in radio, forse ancora di più, visto che possiamo avvalerci soltanto del suono in questo caso. Devo dire che non ho vissuto questa trasposizione dalla scena al microfono come una limitazione, tutt’altro. Lo spettacolo è come cresciuto, come se si fossero scarnificati aspetti che prima erano coperti e ammutoliti dall’immagine. Per questo penso che la versione radiofonica possa essere addirittura più efficace dello spettacolo andato in scena nel 2016. Anche perché devo dire che dagli attori con i quali ho avuto l’onore di lavorare, ho subito percepito una grande padronanza della parola e della voce. Interpreti estremamente all’altezza del compito, ma non mi voglio dilungare con i complimenti, che sarebbero troppi. Quindi lascio la parola proprio a loro.
Gianluigi Fogacci: Parlando personalmente, mi ha fatto molto piacere lavorare a questo radiodramma. Ci siamo divertiti molto nonostante i contenuti di questo testo siano estremamente violenti, come solo certe commedie inglesi possono essere. È stato brillante il gioco teatrale e radiofonico che si è installato da subito, anche con le sostituzioni di alcuni interpreti che ci sono state per questa versione in radio. Mi ha fatto piacere farlo perché credo molto nella trasposizione radiofonica di drammaturgie teatrali, cosa che in questi ultimi tempi è stata un po’ lasciata cadere. Ludovica Modugno, attrice nel ruolo della nonna e Carlo Reali, attore nel ruolo del nonno, possono dire meglio di me quanto la Rai e l’Italia di anni fa andassero forti dei radiodrammi tratti da spettacoli teatrali. Senza fare polemica (o forse sì), molto meglio il radiodramma che il teatro in streaming, che non trasmette il reale scambio tra il pubblico e l’interprete. La radio invece costringe l’ascoltatore a fare uno sforzo di fantasia notevole. Giacomo ha insistito molto che mantenessimo la relazione tra di noi, nonostante quello che poi arriva allo spettatore sia solo il suono delle nostre voci. E tutto ciò ci ha fatto capire quanto cambiasse colore la scena quando eravamo scollegati e quando invece c’era gioco, ascolto tra di noi, nonostante le cuffie, nonostante il microfono. Di questo sono molto felice. Qui mi taccio.
Ludovica Modugno: Anche perché il radiodramma è un genere che non esiste più. Non se ne fanno più, non se ne registrano più, è un genere che praticamente è morto. Quindi quest’iniziativa del Teatro di Roma ha riportato in vita qualcosa che aveva un grande valore, e che ora si era perso. Un radiodramma è come leggere un libro per chi lo ascolta, dove l’immaginazione viaggia attraverso una voce che racconta, e grazie all’immaginazione ricreiamo un ambente, una storia, un viso. Non è stata una grande fatica trasporre questo testo. Già nel 2016 in fase di allestimento facemmo un gran lavoro sulla parola. Non ignoriamo poi la triste bellezza di poter incidere al teatro Valle, morto anch’esso, per ora, sperando che un giorno possa tornare a vivere. Nel nostro cast c’è una attrice, Caterina Carpio, che lo ha occupato e che è dunque testimone della sua storia recente. Lei con tutti i suoi colleghi manteneva in vita questo luogo, per questo è stato davvero un peccato interrompere l’occupazione. Questo progetto, in qualche modo, gli ridà vita. Facciamo in modo che intonazioni, voci ed emozioni possano ancora aggrapparsi da qualche parte in questo luogo. Speriamo che tutto ciò stimoli gli enti pubblici addetti ad avviare i lavori necessari per farlo tornare alla vita che merita.
Chiara Alonzo: Vedendo lo spettacolo di Nella repubblica della felicità mi ha molto colpita il racconto della sordità e della conflittualità tra diverse generazioni. Anche noi oggi qui rappresentiamo più generazioni, ma sentendovi parlare, questa diversità si è totalmente azzerata. Merito del teatro?
Ludovica Modugno: Ma sì, perché il teatro è un grande antidoto, un grande guaritore dell’anima che azzera le differenze di età e ci guarisce dalla stupidità.
Giacomo Bisordi: Lo spettacolo non a caso analizza moltissimo quella che è la natura del conflitto interpersonale. C’è senz’altro questa grande incapacità di dialogo tra generazioni, ma il conflitto non è solo intergenerazionale, ci si scontra anche rispetto a visioni del mondo completamente diverse. E forse a generare ancora più ostilità è il rapporto con la memoria che i personaggi hanno nel testo, il rapporto con il tempo passato.
Chiara Alonzo: Grazie mille. Un’ultima curiosità che mi viene da chiederti, parlando di scienza e fantascienza e considerando che hai anche una formazione da biologo, è quale sia per te il rapporto fra arte e scienza.
Giacomo Bisordi: Beh, la tipica risposta “paracula” che potrei darti è: «Come tu ben saprai nel Medioevo la cultura umanistica e scientifica coincidevano perfettamente ecc. ecc. … ». In realtà ne abbiamo parlato anche in questi giorni. Bisogna sempre definire bene che cosa si intende per scienza e cosa per fantascienza. Io sono stato addestrato alla scienza sperimentale, che prevede il classico approccio galileiano. In ambito teatrale questa modalità mi ha sempre dato una grossa mano nella strutturazione iniziale dei miei spettacoli. In parole povere l’osservazione analitica diventa l’innesco di qualunque sperimentazione scenica. Quindi di base c’è un forte legame tra scienza e arte. Se mi chiedessero qual è l’aspetto scientifico di questo spettacolo, anche se istintivamente non risulta evidente, risponderei l’evoluzione. La scena che abbiamo provato oggi era attraversata da un vasto pensiero trans-umanista, su come e quanto la biotecnologia possa migliorare le nostre vite. Quella crisi che la scienza può provocare nell’uomo, il teatro ha la possibilità di scandagliarla. Una cosa che ci siamo detti tante volte rispetto a questo testo, è che ha un tempo limitato per andare in scena. Quando lo abbiamo fatto nel 2016 ci sembrava qualcosa, oggi rileggendolo ci sembra che preannunciasse la pandemia. E chissà fra 30, 40, 50 anni che significato potrà mai assumere. Magari leggere questo testo tra diversi anni ci farà sorridere… Ammesso che si potrà ancora leggere, perché magari ci sarà un’altra forma di lettura, un’altra forma di teatro, e il Valle sarà ancora chiuso probabilmente…
Chiara Alonzo: Grazie mille davvero. Se non ci sono altre domande…
Ma vengo subito fermata da Cecilia che avvisa di avere finito la memoria per le riprese, e quindi siamo costretti a chiudere. Just in time.
Scambiamo ancora ringraziamenti, commenti e battute a distanza con tutta la compagnia, e poi salutiamo il Teatro Valle, il Teatro di Roma, il teatro e basta.
Chiara Alonzo
Foto © Luca Guido
Nella repubblica della felicità
regia: Giacomo Bisordi
drammaturgia musicale e musiche originali di Vadalà
sound designer: Andrea Brachetti
testo: “Nella Repubblica della Felicità” di Martin Crimp
interpreti: Valentina Bartolo, Paolo Briguglia, Caterina Carpio, Anna Chiara Colombo, Gianluigi Fogacci, Cristina Mugnaini
e con Ludovica Modugno e Carlo Reali
foto di Manuela Giusto
Podcast scientifico: Emanuele Coco
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