Armata di sigaretta in mano, inizio la mia guerra privata con questa Roma mia che ritrovo dopo mesi di esotismo.
Ho uno zaino da trekking sulle spalle che neanche è mio (riconsegno bagagli contenenti viaggi), ho rimesso i jeans e le converse dopo un’eternità, sento che è un primo giorno.
Mi osservo: amo da sempre iniziare.
Arrivo alla Pelanda sotto un sole d’agosto che non capisco perché se è d’agosto stiamo a settembre, varco una di quelle cose che mi fa avere quotidiane piccole esplosioni interiori di bellezza che poi è l’ingresso del Mattatoio – imponente, ambiguo, con la sorta di decadenza dolorosa che tutti i giorni mi fa dire ti amo/non ti amo con i petali di Roma.
La Pelanda è uno di quei luoghi che sono identificati dal ricordo vividissimo della prima volta in cui ci ho messo piede: un luogo altro, come va di moda dire, io direi più un luogo ri-connotato che al contempo mantiene e perde la sua identità congenita.
Un gruppo di accaldate facce con occhiali da sole per divisa, belle facce giovani che conosco e non, attende sotto l’arco.
Dominio Pubblico per me è una realtà (provocata!) di cui sono in qualche modo imprescindibilmente parte: ero tra gli under25 che hanno realizzato la prima edizione di DP, avevo diciotto anni, scherzo con Tiziano (Panici) sul fatto che sono ancora un under nonostante questi sei anni mi sembrino corrispondere all’eternità di cui sopra.
All’improvviso mi viene in mente da dove vengo e dove sono: DP è coinciso con le mie prime volte dentro e fuori dal teatro, da quelli off, da quelli meno off, con l’imbastitura dei primi discorsi – chissà se ne ho concluso qualcuno – con la prima esperienza di organizzazione, con la nascita della comunità dallo spirito dell’appartenenza. Quest’anno la mia compagnia ha dato vita a un festival non lontano da Roma: risalgo i fili che tessono la mia matassa, il mio grumo, li riconosco, me ne riapproprio. Nulla è per caso, tutto lo è.
Short è una fucina di possibilità, di linguaggi e lingue diverse, di pratiche teatrali – alcune esplose, altre in nuce –. Provocare realtà mi sembra il sottotitolo più giusto per questa tredicesima edizione. La descrive, la riassume, la orienta. Come sempre ci sono spettacoli che mi rapiscono (l’esito dell’Ècole des maitres di Tiago Rodrigues e Gala di Jerome Bel, su tutti) e spettacoli che non fanno eco in me ma solo suono sordo.
Al di là dell’entusiasmo specifico attorno a ciò che vedo e ho visto, il mio andare e riandare negli spazi di Short da otto giorni ha senso perché mi accade qualcosa.
Entrano ed escono come schegge impazzite domande, riflessioni, aperture del mio cuore e del mio cervello che poi sono la stessa cosa, citazioni, questioni antiche – gli spazi che mancano a Roma, cosa diavolo cosa diavolo è mai il teatro ora, i processi produttivi, l’oggettività dell’arte. Ancora lacrime che mi si incastrano negli occhi, il ritrovamento degli amici, la sorpresa di averne di nuovi, rendermi conto che nel bene E nel male io appartengo a questo micromacrocosmo che ha le sue logiche e che ha il coraggio di metterle in discussione.
Il prossimo che dice che il teatro è morto è evidente che non ha assistito a due strani figuri che fanno tappa fissa ai tavoli del bar della Pelanda e per ore discutono su quello che vedono. Chi la Short la vince.
Chiara Acquaro
Foto Violante Photographer
DAL 5 AL 15 SETTEMBRE 2018
SHORT THEATRE – ROMA
Provocare Realtà