(Il titolo non è casuale, per chi non lo sa, va detto che Joyce che cito nel titolo è quello che s’è inventato lo stream of consciousness, il flusso di pensieri ergo questa sarà una lettura ardua, ma piena di cose belle e brutte, insomma non fatevi troppe domande e abbandonatevi a quel che accadrà)
Fumo.
Tu passi e guardi l’acqua del fiume che scorre. Faccio un altro tiro. Tu passi e parli al telefono di chissà cosa, ma sicuramente a tuo dire “andrebbe messo al contrario”. Butto via il fumo appena ingoiato. Voi due poi, non litigate, c’è talmente tanta merda, non contribuite anche voi e prendetevi quelle cazzo di mani e guardatevi negli occhi.
Fumo ancora. Più nervoso. Inizio a guardarmi intorno con più frenesia.
E tu chi sei seduta sulla sdraio? Non ci conosciamo. Se ti guardo, eviti gli occhi. A questo siamo arrivati oggi. Butto la sigaretta e voglio bere. Voglio bere? A quest’ora non credo sia il caso. Ma si invece, cosa me ne frega, tu sei lontana lontanissima da qua e nemmeno resta l’idea di un niente che mi rubava l’aria.
Birra per favore, tre euro e cinquanta, li mortacci tua, da me costa meno, a Roma non ci vivrò mai, me lo prometto, me lo riprometto, però Roma non è male, forse un giorno. Squilla. No, col cazzo che rispondo, questa irrealtà non me la rubi. Tutto bene qui si, e voi. Ah è stato poco bene?
Mi raccomando riposati. Chiudo all’americana, come nelle serie tv, mi do un tono, non dico ciao. Non saluto più nessuno. Che belli che siete voi, vorrei invidiarvi, potrei farlo, il mio amore era più bello, non devo invidiare nessuno. Forse solo per il fatto che era e non sarà, o magari se lo desidero con tutto il cuore accadrà e il futuro sarà altro. Chissà se chiedessi a tutta Roma di concentrarsi per un istante sul mio desiderio cosa accadrebbe. Facciamo una prova. Roma tutta, basta cazzate per favore, ora tutti con me chiudete gli occhi, non ora, prima finite di leggere poi quando scriverò ora (non questo) chiuderete le palpebre e vi concentrerete su questa cosa che deve cambiare corso. Cosa non posso dirlo fino in fondo, è giusto mantenere il mistero. Immaginate però un fiume, ci siamo? Ora iniziate a mettere tutto quello che vi piace e rendetelo il rio più bello del creato, qualche albero tagliato che i difetti li abbiamo tutti, poi metteteci anche l’acqua impetuosa ma chiara come il vetro dell’ultimo whisky ingoiato controvoglia. Cristallina. Ora immaginate che questo fiume per un attimo ha preso un corso in una direzione sbagliata e sta lasciando una città senza acqua, per una qualche ragione inspiegabile anche senza aria. Ora ci concentriamo forte e quando dico ora, immaginiamo che quel corso faccia un salto, si mandi a fanculo da solo e vada a dare di nuovo vita a quel villaggio, dove fra l’altro non vi ho detto che vivono anche i puffi, cui dovete molto della vostra infanzia, quindi fate poco i preziosi e concentratevi. Ora.
Grazie, vi farò sapere se a qualcosa è servito.
Scusa hai un accendino? Si, no scusa, devo averlo lasciato in macchina, ma cosa gli frega a lui dov’è mi ha chiesto se ce l’ho mica se l’ho dimenticato da qualche parte. Però in realtà non ho mica mentito, voglio dire io un accendino ce l’ho, il fatto che non sia nella mia tasca non significa che io non possegga l’oggetto. È nero, mi piace di quello che hanno tutti, ma il mio sta bene con me.
Gente che va, che viene e va ancora. Seduti al tavolo parlano lingue diverse, mangiano cose a volte improponibili, ma a nessuno importa, qui non si mangia, ci si sfama ed infatti un delicato sticazzi elimina questa immagine, lampade, luci, sold out mi dispiace. Ma dai dimmi che in qualche modo riusciamo, no affatto, scordatelo, e ci credo, voglio dire, ci pensi oggi per oggi? Boh, la gente imparerà mai? Il mondo non finisce con te, vuoi guardare oltre e pensare che forse in una città oltre il milione di abitanti con gente che arriva anche da fuori, prendi me ad esempio.
Grazie, ora vediamo se la prossima volta sarai ancora così babbeo.
Chissà adesso perché mi torna in mente quel ragazzo di nome Archimede e il suo scritto comico sul suo nome, geniale. Ha qualcosa a che fare con chi vedrò in scena stasera. PierGiuseppe, nome atipico, proprio come Archimede. Va là che magari è questo il motivo. Un’altra birra? Non vorrei arrivare ad ubriacarmi stasera, devo darmi un tono. Certo tesoro che vengo. Però dammi la matita, voglio truccarmi. Perché mi va. Si grazie lo so che sto bene. Oi si raggiungeteci qui. Non c’è un motivo preciso, lo faccio quando mi va. Non era mica questo un mondo libero? Non era questa Roma la patria dei fricchettoni cinici universitari che uniformano anche la diversità, please, dai non scassate.
Fila, di nuovo fila, farò in tempo ad andare al bagno? Vabbè la tengo. Sopravviverò. Sopravviverò? Non è detto, magari infarto durante lo spettacolo chi lo sa. Chissà che morte deve essere l’infarto. Che poi con questo cuore fatto male, secondo me vado a fare quella fine. Me ne andrò gridando aiuto o con dignità? Magari griderò aiuto, ma con dignità. E poi mi cagherò addosso. Pare che quando muori accada questo. Che mondo strano è questo qua. Non c’è niente che si salva, forse tu un po’, non saprei, che tragico valzer sono mai questi pensieri che godono imbellettati del loro ballo delle debuttanti nella mia testa.
Dubbi, pensieri, paure, bellezza, meraviglia, ma cosa è la meraviglia. Lontananza, distacco, ho perso, ho incontrato, sono libero, la mia libertà, come avessi un buco in testa ora, come si aprisse quando vengono pronunciate quelle parole, si aprono ed eccoli che escono fuori “tutti quei diavoli nella testa” e mi sento costretto, contrito come lui. Fa male pensare che questo mondo è così freddo, algido e senza cuore, dove si fa fatica a lasciar entrare la bellezza, forse hai ragione tu quando parli alla bambina, “amorino mio, amorino mio, che brutta commedia farai tu! che cosa orribile è stata pensata per te! Il giardino, la vasca…è finta, si sa! Il guaio è questo, carina: che è tutto finto, qua! Ah, ma già forse a te bambina, piace più una vasca finta che una vera; per poterci giocare, eh? Ma no, sarà per gli altri un gioco; non per te, purtroppo, che sei vera, amorino, e che giochi per davvero in una vasca vera, bella, grande, verde, con tanti bambù che vi fanno l’ombra, specchiandovisi, e tante tante anatrelle che vi nuotano sopra, rompendo quest’ombra.”
Per te che sei vera. Che brutta commedia hanno scritto per te. Per noi. Facciamo che ora cambiamo il finale, ultimamente va di moda, di penne colorate ne ho in quantità, di fantasia per non annoiare mai ne ho pieno il futuro ed ora non occorre altro che dire, Elettricista spegni tutte le luci.
Buio.
Ma lasciami almeno vedere dove metto i piedi. Almeno sarà per prepararti il cammino, non che ce ne sia bisogno, ma voglio che il mondo sia il letto che un fiume così merita e non un tappeto di cadaveri da evitare.
Alejandro De la Vega
Foto Violante Photographer
DAL 5 AL 15 SETTEMBRE 2018
SHORT THEATRE – ROMA
Provocare Realtà